Sono nella mia stanza e da qualche giorno, nella piccola biblioteca che si è costruita a poco a poco sulla mensola accanto al letto, è comparso un libro dalla copertina biancorossa: la biografia di Augusto raccontata da Goffredo Coppola (edizioni Historica, per la curatela di Gennaro Malgieri).
L’insegnante che ho sempre invidiato di un’invidia impossibile agli studenti del Novecento, lo studioso che trasmetteva le vite e le idee, e non le date e le liste (della spesa) degli editti emanati e delle battaglie condotte, e l’Imperatore degli Imperatori, l’uomo, con le parole di Coppola, che parlava “elegante e temperato”, “di media statura, ma regolare e armonica, di carnagione olivastra, coi sopraccigli raggiunti, col naso aquilino, coi denti piccoli rari e scabri, […] che sorrideva di rado ma scherzava spesso ironico e puntuto.”
Ha sempre nascosto un certo mistero, questo giovanissimo, sornione, grande rivoluzionario di Roma, e ogni volta che ci incontravamo, in un’aula, a distanza di millenni, mi capitava di porgli le stesse silenziose domande. Non si trattava, e non si tratta, di interviste cronistoriche. Mi chiedevo cosa, di Ottaviano, lo abbia reso Augusto, rispetto a tutti gli altri romani. Perché questo “giovane divino” ha vinto, e non Antonio? Qual è stato il suo segreto? Cosa vedevano, del mondo, quegli occhi appuntiti?
Sarà che la mia simpatia per la storia è soprattutto attrazione per le storie, interesse per quella materia magmatica che è l’umano, e ricerca di un senso che si possa trasportare fino alla vita di adesso, ma la mia lettura del testo di Coppola è stata sotto questo segno. E la sua scrittura, proprio per l’attenzione ‘vitale’ ai personaggi studiati, avvicina molto alle risposte. Continua a leggere