Se ancora non siete mai stati a Trieste, aspettate la sera per arrivarci. Dai finestrini della macchina la natura friulana cambierà faccia: la terra morbida lascerà spazio a una roccia secca, bianca, leggera; gli alberi si abbasseranno, diventeranno arbusti aspri; il paesaggio comincerà a sollevarsi, ad aprirsi, a distendersi. A inerpicarsi addosso a pareti di edifici. A svelare, poco a poco, la distesa regale del mare.
Dopo aver parcheggiato, camminerete tra ali di palazzi imponenti e regolari, in vie larghe, e vi troverete di fronte a uno degli spettacoli più belli d’Italia. Di sera, Piazza Unità d’Italia si illumina d’oro di fronte all’acqua. Il municipio prende vita come una piccola Versailles ed è probabile che voi restiate lì fermi, a metà tra le luci dei palazzi, il cielo nero, il Molo Audace che si allunga sull’acqua e il mare piatto puntinato di luci, fondo e ampio, non sapendo cosa fare. Tra un lampione e l’altro, vi sentirete dei re malinconici e gai, così come si sente ogni triestino, e per questo nasce con una sicurezza scanzonata e sorniona. Non c’è persona di Trieste che non guardi con uno stupore misto a compatimento gli sforzi e le fatiche del Friuli centrale, così vicino e lontano. All’etica della resistenza e del risparmio sofferto, il triestino sa che può preferire la grazia delle circostanze, la gioia dell’iniziativa, la capacità di interpretare il tempo e di muoversi con agilità alata. Perché preoccuparti quando sei certo che il mare ti porterà tutto quello di cui hai bisogno e la bora schianterà qualsiasi certezza? Trieste, ‘la mia città che in ogni parte è viva,’ come scriveva Saba, trema tutta di vita. Ecco perché i triestini sono così, fatti di sole, mare, libri, arte, musica e piaceri. Perfino nelle negazioni mettono gioia: tanto che per dirti di no ti rispondono ‘volentieri’ (circostanza che ha provocato non poche incomprensioni…). Continua a leggere