Questionario proustiano sulla Scuola #33. Enrico Galiano. – pubblicato su Barbadillo.it

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Nel 2015 è stato inserito nella lista dei 100 insegnanti più amati d’Italia (sito Masterprof.it.). Sarà perché Enrico Galiano è un professore anticonvenzionale (ha creato una webserieCose da prof, un flashmob poetico #poeteppisti) o perché quando entra in classe si propone di prestare più ascolto ai ragazzi che a se stesso. È curioso di scovare, tra di loro, talenti e storie da far fiorire. Alcune sono diventate già dei romanzi per Garzanti: Eppure cadiamo felici (2017), Tutta la vita che vuoi (2018), Più forte di ogni addio (2019).

La scuola di oggi riesce a dare agli studenti gli strumenti per affrontare le necessità di questo tempo? È ora di riformare radicalmente i suoi programmi? Partendo da cosa?

“Ci stiamo provando, ma il cammino è ancora lungo. I programmi cosiddetti ministeriali in realtà non esistono più, e infatti non è quello il problema: il problema è che l’impostazione mentale è ancora troppo legata alla vecchia lezione frontale (che può essere un meraviglioso modo di imparare, se usata bene e soprattutto se affiancata ad altri metodi), a una didattica incentrata sul voto e sulla prestazione, a una omologazione degli studenti a criteri standard che spengono la loro creatività e le loro potenzialità. Fortunatamente sta arrivando una generazione di insegnanti appassionati e preparati, pronti a questa sfida ma, ripeto, c’è ancora molto da lavorare”.

Che cosa cambierebbe, che cosa toglierebbe, che cosa introdurrebbe?

“Bisogna partire dal basso coi ragazzi e dall’alto con gli insegnanti. Gli studi ci dicono che laddove i bambini hanno a disposizione scuole materne e strutture idonee quando hanno 2-3 anni, poi i risultati migliorano sensibilmente. Bisogna lavorare quindi fin dall’asilo, dalla primaria e dalla secondaria di primo grado, formando insegnanti capaci e selezionando solo quelli che per vocazione e attitudine sono adatti a questo compito così cruciale”.

Come potrebbe una buona scuola favorire l‘inserimento nel mondo del lavoro?

“Iniziando a contemplare il concetto di orientamento fin dalla prima classe della primaria, mettendo al primo posto fra i compiti degli insegnanti quello di essere dei “talent scout”, nel senso etimologico del termine: trovare i talenti di ogni bambino/ragazzo e aiutarli a farli emergere. Non esiste identità senza riconoscimento e solo grazie al riconoscimento da parte di genitori e insegnanti i bambini possono costruire una identità solida che permetterà poi loro di sapere quale direzione prendere, quando dovranno cercare il proprio posto nel mondo”.

È ancora sensato puntare a una pedagogia di tipo etico-astratto, idealistico, invece che funzionale? Non è un prendersi in giro fingendo vivo un universo di valori assoluti che la storia recente ha ucciso? La formula “serve per aprire la mente” non ha il sapore di un’illusione?

“Ovvio che no: non è un’illusione. Anzi l’illusione è quella che tutto debba essere “funzionale”, che tutto debba servire a qualcosa. La nostra mente, ce lo dice la scienza, ha bisogno di questo e di quello: di astrarre e fare, astrarre e fare. Qualsiasi idea di dialettica che penda del tutto da uno dei due lati è sbagliata e in certi casi anche pericolosa, perché un pensiero troppo legato al concreto si espone al rischio di rendere i ragazzi dei robot nonpensanti. E noi abbiamo bisogno di ragazzi autonomi, non automi”.

L’alfabetizzazione di massa è un problema ormai superato. Varrebbe la pena lasciare, fin dalle elementari, più libertà di scelta agli studenti e alle famiglie, sia per quanto riguarda la possibilità di specializzarsi in certi ambiti piuttosto che in altri, sia per quanto riguarda gli orari in cui frequentare la scuola? Mantenere magari un minimo di ore obbligatorie e renderne facoltative e personalizzabili altrettante?

“Potrebbe essere un’idea, certo. Anche se resto dell’avviso che non è che l’alfabetizzazione sia un problema superato, solo si è spostata più in su l’asticella, per cui abbiamo in giro la maggioranza di persone che sì, ok, sanno leggere e scrivere, ma ci sono ancora troppi fra noi che non sono letteralmente in grado di interpretare correttamente un testo e di comprenderne il significato (analfabetismo funzionale). Quindi è ancora necessario mantenere un grande spazio di obbligatorietà a certe discipline. Io sarei più dell’idea di aggiungere ore di scuola: piuttosto che togliere di qua e aggiungere di là, sarebbe molto più fruttuoso dare – per esempio al pomeriggio – degli spazi aggiuntivi per coltivare le proprie vocazioni e interessi. Ma ovviamente servirebbero investimenti e non viviamo esattamente in un Paese che investe molto nella scuola”.

Non è necessario, sempre, dalle elementari alle superiori, lasciare ai ragazzi del tempo per coltivare altre qualità oltre all’efficienza della mente?

“Sì, senza dubbio”.

Il docente Enrico Galiano

È vero, almeno qualche volta, che “lo stupido istruito ha solo un campo più vasto per praticare la sua stupidità”?

“Sì, ma le statistiche ci dicono che dove c’è più istruzione c’è più progresso e più benessere. Direi che vale la pena il rischio di dare a qualche stupido questo strumento in più, tanto ci sono tutti gli altri a contenerne la stupidità”.

 

 

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