Non vi aspettereste certe reazioni da parte di un vecchio, lo so. Lo so come siete fatti, che ai vecchi vi piace piazzare qualche badante sugli alluci e scriverci i libri e le sceneggiature strappalacrime. D’altronde, vi conosco da quando mi chiedevate l’enciclopedia dei Quindici e i pastelli, e dopo le prime Barbie ancora bionde e le prime macchinine ancora con quattro ruote. Lo so che questa cosa vi spiazzerà molto, soprattutto perché sarò io a farla. Ma vi dico che non me ne frega più un tubo. La vulgata vuole che io sia per definizione buono e paziente. Ma quest’anno non va così, ragazzi. Mi sono definitivamente rotto. Il fatto è che io sono vecchio, certo, ma non stupido. Se c’è una cosa bella della vecchiaia è che conosci praticamente tutto, riconosci da lontano i meccanismi delle persone, vedi attraverso i vetri, i vestiti firmati, le tinte e i parrucchini (non a caso, muore giovane colui che agli dèi è caro…).
La cosa bella della vecchiaia è, insomma, che, anche se pochi ancora se ne accorgono, non devi più dar conto a nessuno di niente. Hai imparato tutto quello che dovevi, hai fatto le tue esperienze, ti sei tirato su una famiglia, hai deciso quello che dovevi decidere e, finalmente, non temi niente, non speri niente, sei libero, come diceva quel bravo poeta greco.
Vi dirò che le cose non andavano bene già da un bel pezzo, ragazzi. Mi aveva scocciato da subito l’inflazione esponenziale di richieste, qualche decennio fa, rispetto al primo periodo bello, semplice e felice in cui vivevamo in reciproca e leale concordia. Me la ricordo ancora, quella volta. L’improvviso senso di straniamento e l’impulso di passare da quei quattro-cinquecento che l’avevano scritta più grossa a chiedere: senti, bello, non farmi ridere, da chi l’hai copiata questa? Però, sapete com’è, sono una persona positiva, attiva, ho preferito lasciare andare e ho guardato il lato buono della cosa: più esercizio, più muscoli, più prestanza, più successo con le gnome di turno, più galoppate con o senza le renne. E così mi sono adattato, pensando che sarebbe stata una fluttuazione come tante. A certe età, capita di fare stronzate. Me la sono raccontata. E sono andato avanti come al solito. Sono andato lo stesso a prendervi gli arricciacapelli, le televisioni in alta definizione, la terza auto d’epoca, i prodotti della dieta Tisanoreica, l’operazione al seno per la fidanzata, i biglietti per le Maldive, il corso di pilates, la crema per camuffare le occhiaie maschili e quella per ammorbidire la barba, gli psicofarmaci per i genitori, i droni, l’apparecchio per farvi i selfie e i cagnetti nani che mi avevate chiesto, nonostante i freddi sempre più pungenti degli ultimi anni e l’impulso sadico di lasciarvi almeno una volta col culo per terra, per farvi rinsavire.
Ma i vostri figli hanno fatto molto di peggio, fino a passare ogni misura. Quest’anno non vi si possono trovare scuse. Non volevo credere ai miei occhi, ho addirittura licenziato uno gnomo perché credevo che prendesse lucciole per lanterne e non riuscisse più a leggere con decenza quello che avevate scritto. Quest’anno, dopo alcune richieste di trovarvi dei social media manager per il profilo Facebook, voi e i vostri figli avete farneticato di salvataggi in mare, avete messo insieme parole e immagini strampalate di ospitalità, scrivendomi di creare più spazio nel paese, di trovare occupazioni, di infondere il senso dell’accoglienza, di ripescare gente affogata – non ho ancora capito se mi avete preso per uno spider man, un dio biblico o un’impresa navale. Avete piagnucolato cose mai sentite: giustizia, integrazione, responsabilità (voi, che due anni fa mi avevate chiesto di trovare un posticino per quei soldi, fuori dall’Italia, e mi imploravate di far sparire l’amante che vi dava rogne!). Mi avete parlato di affittare uteri, di inseminazioni, di matrimoni, di adozioni, di affidi e super-affidi. Il fatto poi che uno di voi abbia scritto che voleva una scelta di libri gender, e se ero proprio sicuro di essere Babbo Natale e non una Befana, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Evidentemente, ho pensato, siete tutti arrivati a un punto di non ritorno.
Allora, ci penso già da un po’ di anni, ma stavolta lo farò sul serio. L’anno vecchio se n’è andato? Me ne vado anch’io. Non appena, nei prossimi giorni, il mondo comincerà ad accendersi di luci. Non appena il nero della notte si tingerà d’oro e le fiamme sventaglieranno nel buio. Non appena verranno eretti i falò dell’epifania, senza pensarci troppo ne sceglierò uno grande abbastanza, cingerò per la vita la vecchia strega che non si aspetta nulla ma mi ama d’amore vero da tempo, le scompiglierò i capelli e felice di quest’ultimo amplesso mi ci butterò sopra. Al falò. Una fiamma e via. Ce ne andremo come siamo arrivati.
E allora, cari, vi toccherà arrangiarvi. Todos caballeros.