Ore 6:00. Hotel a Cologno Monzese. Più dormi che veglia. In lontananza, un suono strano. Sembra quasi un gemito. Un gnaulio. Sarà un adorabile bimbo nella stanza accanto.Qualche minuto dopo: il lamento, di nuovo. Con cadenza regolare. Sarà l’adorabile mamma dell’adorabile bimbo che chissà cosa sta a fare invece di nutrirlo come si deve o riaddormentarlo. Magari se ne sta bellamente a dormire. Eh certo! Tanto ci siamo noi qui a svegliarci. Anche se, devo ammettere: in tutta la mia carriera di zia non avevo mai sentito gemiti del genere. Strani sono. Ma sarà un pargolo bilingue. Ecco cos’è. Con le coppie internazionali che ci sono adesso. Neanche svezzati incominciano a parlar misto: e uan e two ecciù. Mai sentite le mamme cantare l’alfabeto inglese con trasporto “ei bi si di i ef gi…”? E’ chiaro che dopo uno finisce per parlar, e gnaular, di conseguenza, coverto. Vabbè. Rimettiamoci a dormire. Dove eravamo rimasti? Stavamo contando i pecoroni…
Qualche minuto dopo. Se mai non si fosse capito, il suono ci fornisce di un suo gentile richiamo. A questo punto, è giuoco forza: spalanco gli occhioni sul soffitto della camera che da nero è diventato grigio, mentre io da bianca sono diventata leggermente nera, perché a questo punto la questione si sta facendo interessante. Anche se non è proprio l’ora migliore per farle, si accettano scommesse. Chi, come, cosa, sta rompendo il silenzio – sì, diciamo il silenzio… ? E allora, mentre me ne stavo lì, con pupille dilatate, con orecchie spalancate, a sfidare in materia di comprensione la plafoniera design, il morbido parquet, il frigobar nell’angolo e il cartellino ‘do not disturb’, senza ovviamente avere risposta, se non quella che anche l’ultimo filo di sonno mi si è levato dagli occhi… un chicchirichì.
Chicchirichì.
Chicchirichì?… Ma come chicchirichì? Quell’uscita proprio non me l’aspettavo. Pargoli bilingue d’accordo – ma mi rifiuto di pensare che possano implorare il latte con un chicchirichì.
Chicchirichì ancora.
Non mi dire che è un gallo! A Cologno Monzese, patria delle tre ti – televisioni, tette, traffico – può esistere un gallo? Posto che razzolino ancora da qualche parte (invece di andare tanto lontano a preoccuparsi del panda cinese, bisognerebbe salvaguardare il nostro gallo comune, Gallus gallus, dall’estinzione. Figuratevi che il primo e l’ultimo che io ho avuto modo di conoscere in carne, molto in carne, ed ossa è un gallo da guardia friulano. Cose da far paura, il superstite. Lungi dal salutare il signor sole, come da tradizione, in compenso è portatissimo per la cagnara, trova l’ispirazione per berciare appena un qualunque essere – ma dimostra una netta predilezione per i bipedi, soprattutto di sesso femminile – transita nei pressi del recinto dove se ne sta – poco – tranquillo e beato a imperare su tre oche due oche un’oca un’ochina un’ochè andavano a bere alla fonte del re. Troppo preso da questa alternativa missione sbirresca, il nostro se ne fa un baffo di albe e tramonti. L’unica cose che sorge, per lui, è il sospetto. Bene. Brutta bestia, ma utile. La consiglio a tutti quelli che hanno problemi di giardini incustoditi. Altro che mastini – il gallo alternativo è la soluzione dell’avvenire. Pensate che potreste pure risparmiare sul nutrimento: con una miseria di becchime lo mantieni cattivo e vegeto; poi non serve neanche portarlo al parco, perché si organizza lui da solo la razzolata quotidiana – la immagino piuttosto scenografica, qualcosa come una parata militare -; e ci scommetto il codino che, evolvendosi, il gallo alternativo, o i suoi discendenti per lui, imparerà anche a mangiare i topi, assommando così virtù di cane e gatto.) posto che razzolino ancora da qualche parte, stavo dicendo, di certo quella qualche parte non è Cologno Monzese. Non può essere. Non è proprio umano. No.
Chicchirichì.
E invece sì. Cavoli. Vuoi dirmi che c’è veramente un gallo nei pressi? Mi do la brava serie di pizzicotti che prescrive il dottore in caso di dubbio, e effettivamente mi rendo conto: sono sveglia. Effettivamente. E allora chi…
Chicchirichì.
Dio! Ma allora è così, è proprio un gallo! Un signor gallo! Un fantastico gallo in livrea rossoverde, ci si può giurare! Un gallo gallo con bargigli rossi rossi, speroni forti forti, cresta alta alta! Dovete sapere che vado matta per i galli. Quelli cristiani, ovviamente. Non so se si sente. Di colpo me lo sono visto davanti: gonfio e impettito. Con il becco come un uncino. Gli occhi impenetrabili come rubini. La codona folta a fontana. E tante tante tante tantissime piume lunghe e appuntite e arcuate come sciabole che arrivano fino alla luna…. Beh. Forse mi sono lasciata prendere un po’ dall’entusiasmo. Ehm. Mi ricompongo. Comunque è comprensibile. È comprensibile infervorarsi. Ah! Ma vi rendete conto? Dopo l’iniziale sconcerto per un concerto del genere, l’idea che uno degli ultimi superstiti della nobile specie indiana Gallus gallus si trovasse lì, vicino a me, da qualche parte, ancora in forma e nel pieno delle sue facoltà, senza essere alternativo, mi ha messa di un incredibile buonumore e mi ha confermata nella mia convinzione. Cioè che al giorno d’oggi ai miracoli si può credere eccome, senza rimanere fregati. E così, mentre il soffitto della stanza da nero diventava un po’ più grigio, sempre più grigio, e poi quasi bianco azzurrino, e la plafoniera cominciava a disvelarsi in tutto il suo splendore in potenza, dato che era spenta, e il frigobar si tingeva di strane ombreggiature, e il ‘do not disturb’ cominciava a farsi leggibile sdoganandosi dal sinistro aspetto di iscrizione cabalistica notturna, io da nera sono ridiventata bianca (o meglio, carnagione chiara), ho incrociato le braccia dietro la nuca, sul cuscino, come nel migliore film americano, e me ne sono stata fino alle sette e ventisei precise – ora in cui il Gallus gallus monzese ha deciso di arrendersi – a bearmi del prodigio. Scusate, ma perché mi guardate così? Sarò intollerante quanto volete (soprattutto al glutine cordiale), ma se c’è una cosa che ho è una buona sensibilità al privilegio del vizio. Come si fa a non emozionarsi di fronte a un gallo? Come si fa a non fare eccezioni per le eccezioni? Scommetto che se piovesse dal cielo in questo istante un dodo tutti salterebbero giù dal letto a fargli le feste. E invece per il gallo no. E invece il gallo, che – vedrete! – i nostri nipotini studieranno sui libri perché specie estinta, sigh, nessuno lo bada, anzi. I più sgranano maledizioni. Che dispiacere. Vedete, come è fatta la gente. Nel momento in cui potrebbe veramente salvaguardare il proprio latte se ne infischia, giusto per mantenersi fresca per il proprio forte, cioè piangere sul latte versato. E poi, vi dico di più. Sarà meglio la congiura della confusione piuttosto che la congiura del silenzio? Anche se a un’ora presta. Che sarà mai, alzarsi un po’ prima. Pare che sia pure un toccasana. Pensate solo ai proverbi, per averne conferma. Il mattino ha l’oro in bocca. Chi tardi arriva male alloggia. Chi dorme non piglia pesci. Per una volta, si potrà fare uno strappo alla regola e ascoltarsi, prima che diventi impossibile, il canto del gallo? Vabbè che io potrei essere avvantaggiata nelle mie predilezioni – c’ho l’orologio biologico piazzato sulle seiemmezza/sette, salvo imprevisti – ma quel giorno garantisco che non me ne fregava nulla di pesci e ori in bocca, e mi sarei tanto accontentata di un po’ di acqua in bocca, fosse stato un essere umano. Ma per un gallo! Vi rendete conto che, tempo solo qualche lustro, dovremo andare al museo per poter sentire un chicchirichì? Che sarà l’argomento principe delle nuove edizioni di Voyager e delle inchieste su Focus? Senza parlare degli speciali di Piero & Alberto Angela. E poi, a parte questo, mentre ero in ascolto, e rimuginavo con un filo di occhio lucido su quella scoperta, pensavo e pensavo e mi rendevo conto dei molteplici problemi che potrebbero risolvere i galli.
Uno per tutti, l’inquinamento acustico. Dopo tanti brumm brumm, pot pot, drin drin, ueeèèèè eèèèè, un chicchirichì è un toccasana. Non vi pare? Ti entra dentro l’orecchio con il rotolio argentino delle sue consonanti e te lo ripulisce. Essendo un suono naturale, anzi, biologico, fa l’effetto della macedonia di frutta sull’apparato digerente del bimbo/bombo che è venuto su a panini imbottiti e nutella. Depura, insomma.
E quindi, riflettevo che sarebbe veramente da lanciare una raccolta firme. ‘Più galli e meno sveglie’ può essere lo slogan. Vuoi mettere. Mi ricordo ancora quando ero piccola. Quando ero piccola e stupida e non avevo ancora pensato di vendere l’anima all’orologio biologico (scambio sopraggiunto, in compenso, intorno ai diciassette) e dovevo programmare quelle isteriche delle sveglie. Uno si addormentava già con l’angoscia. Dico di più. Con molteplici angosce. Prima angoscia: riuscirò a svegliarmi? In quanto, quando meno te l’aspetti, la brava sveglia cessa di funzionare per motivi tutti suoi personali e chi si è visto si è visto. E tu ti rigiri nel letto col senso di colpa perché magari, andando a tentoni a cercare la bottiglietta dell’acqua l’hai fatta cadere, la sveglia, giusto stasera, giusto stasera che domani ho l’esame, e chissà se per caso si è offesa, e chissà se domani non suona, chissà se la batteria si è un po’ scollegata, e domani domani chissà. Seconda angoscia: riuscirò a svegliarmi? In quanto, non c’è nulla di certo in questa vita. Chi mi assicura che non mi prenda un colpaccio di quelli brutti, al sentire il trillo prepotente, magari nel bel mezzo di un sogno colore pastello, sapor caramello (lo sostengono pure gli psicologi che non va bene svegliare le persone quando sognano, poi magari ci viene pure qualche disturbo del comportamento in reazione), in fondo nessuno sa di essere debole di cuore prima di avere un infarto. Terza angoscia: riuscirò a prendere sonno? Partendo dalle premesse di cui sopra, certo che no. Ed ecco spiegarsi l’iperconsumo di sonniferi tranquillanti camomille e passiflore, e l’esubero delle nuove sveglie – ad acqua a luce a musica a collegamento con l’ipod. Tutte storie, sono solo palliativi per addolcire la pillola. Perché, santoddio, non c’è niente di naturale in quell’ordigno ticchettante. Ed ecco spiegarsi anche il fatto che io la sveglia non la carico più, me la tengo vicino giusto per orientarmi, se per caso per caso mi capita di svegliarmi e sono le cinque, so che posso rimettermi placida a dormire. Tanto oltre le sette non vado. È come se avessi inghiottito un gallo. E dunque, cosa c’è di meglio di un pennuto da tenere in giardino, o, per chi ne è sprovvisto, in soffitta, o sul terrazzino due per tre? Tanto lui si accontenta. È sobrio.
Oppure, tornando allo slogan, si potrebbe scrivere ‘Più galli e meno galline’. Perché, sfido io, dopo un risveglio con sveglia è un’impresa soprattutto per noi signorine, che siamo dichiaratamente e per natura più sensibili dei maschietti, arrivare lucide ed efficienti al lavoro o allo studio. Dove c’è un gallo invece c’è speranza – di quiete e tranquillità. Di pace amore e fantasia. Considerate il mausoleo di Galla Placidia (lo dice pure il nome). Con un buon numero di galli, tutto comincerebbe a funzionare al ritmo del sole. E io sono convinta – aspetto solo che me lo confermino gli ultimi studi medici – svegliarsi al canto del gallo ci farebbe abbronzare bene senza problemi di Uva Uvb Uvc e curerebbe sicuro anche il malassorbimento di vitaminaD. Con in risposta un notevole abbassarsi delle percentuali di cancro, e, direttamente proporzionale, un innalzamento delle aspettative medie di vita. Vita lunga come una coda di gallo.
Per le nottate fuori porta, hotel che propongano finalmente il ‘servizio gallo’ più che il ‘servizio sveglia’ – in modo tale da evitare stress psicologico alle signorine della reception, che dovrebbero telefonarti in camera a orari improbabili. O, in caso contrario, stress da radiazioni perché ti tieni vicino il cellulare a trillo programmato – che comporta un conseguente invecchiamento di cellule e tessuti, che comporta un conseguente aumento di rughe, che comporta una conseguente invidia nei confronti delle giovincelle, che comporta un conseguente intervento chirurgico, che comporta una conseguente morte. Anche se distante nel tempo, è poco ma sicuro. Pensate alla spirale autodistruttiva che potremmo arginare con l’aiuto dei galli!
I galli. Ah, i galli! Ricordo ancora con vero rapimento la descrizione del G. cedrone letta sul Devoto Oli:
“Uccello dei Tetraonidi, detto anche urogallo, diffuso nelle foreste di Conifere dell’Europa e dell’Asia settentrionale e centrale, da noi stazionario, ma sempre più raro, sulle Alpi a oriente della Valtellina. Il maschio, poligamo, che all’epoca della fregola si abbandona a parate amorose durante le quali diventa a tratti quasi sordo e cieco, è lungo 90 cm e ha livrea prevalentemente nera e bruno-scura, una barba ispida di penne nere verdastre, sopracciglio di pelle nuda scarlatta, coda arrotondata, spesso tenuta aperta a ventaglio; la femmina, che nidifica a terra, non supera i 60 cm ed è in prevalenza fulva.”
Come si fa a non innamorarsi di una specie del genere? Come non farsi prendere da una sindrome di Stendhal all’idea di un corteggiamento così estremo e totale?
Solo una cosa. Quando, verso le otto, mi sono definitivamente levata dal letto e ho messo fuori il nasino per scoprire dove alloggiasse il miracolo, non sono mica riuscita a capirlo. Dritto davanti a me c’era solo uno scavo, a ovest delle villette a schiera (ma senza posto gallo) e a est degli stabili che di verde non avevano neanche un filino di graminacea. Mah. In compenso, il mistero è stato svelato la settimana seguente. Entro nella camera numero centotre, poso le valigie, spalanco le finestre con trasporto. Che ti vedo? Una casetta con l’orto. Direttamente frutto del Dio del bucolico. Con qualche ortaggio annesso e – abbiamo modo di crederlo – molto smog connesso. E un gallo. La nostra vecchia conoscenza. Tutto torna. Tutto si tiene. Nulla si crea nulla si distrugge. Dopo le percezioni filosofiche preserali, mi spalmo sul letto in attesa di risvegliarmi all’alba del giorno dopo. Stanca ma contenta, molto contenta, è il caso di dirlo.
Che dire cara Silvia…
mi sveglio tutte le mattine al canto del gallo e spesso la mia colazione è sottratta direttamente da sotto il deretano di una delle abitanti della sua alcova….piccolo pollaio di una decina di galline confinante con un orto che sembra un giardino….
non è logicamente COLOGNO monzese ma un piccolo paesino di una Valle del profondo nord di Brescia..
Vieni a trovarmi, la sveglia “gallica” è garantita e così potrai incrociare le braccia dietro la nuca e pensare di sognare tutte le volte che vuoi.
la mattina è garantita la colazione a letto con ovetto ancora caldo di nido…
in cambio???
Il discorrere con te di “idee senza parole”……stando “come roccia con le ali”
Sursum corda.
Vittorio
no comunque tu Silvia sei un genio. L’ho pensato subito e me lo ripeto ogni volta che leggo un tuo articolo
Cara ninfa Silvia, se esiste davvero, posso conoscere il nome dell’hotel di Cologno Monzese?
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