Gli Euganei. Non sappiamo nulla di loro, solo che sono stati scacciati dai Veneti guidati da
Antenore il troiano. Possiamo immaginarli mentre si perdono nella bruma fuggendo verso le
valli alpine, con le famiglie e gli animali, la polvere, e forse dei semi tra i capelli incolti, le foglie
dei castagni, il biancospino e il pruno, la ginestra e l’orniello della terra che avevano mangiato
e dei corsi d’acqua che avevano bevuto. Finché, mescolandosi con Etruschi e Reti, non si sono
praticamente dissolti.
Li immaginiamo a metà tra cielo e suolo. Le fronti luminose dell’alba che si guarda da un
monte, uno dei più alti dei cento, quando lo spazio si apre. Gli occhi impenetrabili dei
ventiduemila ettari di boscaglia. Pupille di basalto e trachite.
Per le strade gonfie, la vegetazione si agita di fiori e uccelli. Senti il respiro di quelle tribù che
sarebbero svanite anche dai libri di storia se non fosse stato per i rinascimentali che hanno
dato il loro nome ai Colli di Padova.
È sicuramente colpa o merito loro, quel vento che alza i semi senza arrivare in città.
I colori intanto crollano dalle cime alle pendici, l’autunno porta il tramonto tra le stringhe
delle scarpe. I colori zampillano dalle vigne come lava sottomarina.
Corri in moto o con i finestrini dell’auto abbassata, di sera, mentre si accendono piccole luci e
profumi: le castagne, il liquore dolce di giuggiole, l’uva marasca, i funghi. L’umidità ti
accarezza le braccia. Puoi navigare da una all’altra di quelle isole in fiore, come le chiamò
Percey Shelley, di castello in castello, di villa in villa, a sentire quanti spiriti si sovrappongono:
marchesi, poeti, contadini, ricchi mercanti e vescovi. Mercenari, alchimisti, pittori e poeti.
Cornaro e Ruzzante, Petrarca e Alfieri, Foscolo, Fogazzaro, Zanzotto.
Confini non ci sono: sono i labirinti di Valsanzibio, i muri chiari di Arquà, il parco della Villa
dei Vescovi di Torreglia. la cascata Schivanoia di Teolo, il Castello del Catajo, le cave di
Monselice. L’orma di un cinghiale o di un cacciatore. Qualche falchetto vola muto sopra di te.
Non guardi più il cellulare. Ti tiri la manica della giacca sulle dita. Copri l’orologio. Hai perso il
tempo. I Colli lo azzerano: antichi di Eoni, venuti da vulcani nati sotto il mare, che cosa sono,
per loro, un’ora, due, o un giorno intero?
Un sentiero si arrotola su se stesso. Un monte fa di tutto per confondersi con un altro.
Cammini dentro un giardino rinascimentale e ti ritrovi ad attraversare un campo con gli
affreschi dell’alba. C’è sempre un angolo che non hai visto ancora. Giochi d’acqua spenti o
nuvole di vapori termali.
È stato il locus amoenus per artisti di tutte le epoche, il Parco dei Colli Euganei.
Corrono lepri e piccole volpi. Ci sono giuggiole e ulivi che crescono in diagonale. Scotani,
bagolari, ciavardelli e castagni altissimi e frondosi: sentieri col cielo completamente verde.
I monaci dell’abbazia di Praglia coltivano erbe e allevano api. Il loro miele è così solido che
devi forzarlo col cucchiaio. La terra è spirito, anche se non sembra.