Distesa così, da Piacenza fino al mare, l’Emilia Romagna è come una bella donna sorridente e appagata, che ha tutto per essere felice.
Ricca di frutti e piaceri, celebra la vita anche nei momenti più ordinari dell’anno e per lei le feste non sono altro che un giorno normale elevato a potenza, un gradino in più di grazia e delizia rispetto al consueto.
A dicembre, l’Emilia non nota la luce che cala, ma si inonda di fuochi. Da tempi antichissimi, qui, la sera della Vigilia di Natale il capofamiglia prende un grande ceppo di quercia e lo accende nel camino accompagnandosi con un Padre Nostro. Illuminati dalla fiamma che si apre nel buio, dopo la cena di magro, tutti i familiari aspettano insieme la messa di mezzanotte. Si scaldano scambiandosi racconti, cantando e giocando, oppure fanno, come una volta, l’arimblén, una pesca oracolare che dà indizi sull’anno nuovo.
Allo scoccare di mezzanotte, gli emiliani che rispettano le tradizioni escono in strada, ma senza chiudere completamente la porta. L’uso vuole che, oltre l’uscio, si lascino tre sedie libere vicino al fuoco, un omaggio simbolico a Gesù, Giuseppe e Maria per il loro andare miracoloso nel freddo della notte, un invito al ristoro e al calore.
Cordiali come sono, gli emiliani sono ricchi di tradizioni generose. Se è vero che si indossa una camicia nuova nel giorno di Natale, per proteggersi dalle malattie, in Emilia sentirete dire anche che durante le feste non si cuce né fila. Si ricorda infatti una filatrice che passava accanto alla capanna dove si era riparata Maria e si rifiutò di tagliarle i capelli, come lei chiedeva, per tessere una camicia e riscaldare Gesù. La donna, per coprirlo, le regalò invece i lini più pregiati che aveva.
Tra i mercatini vivacissimi sparsi per la regione, i più antichi sono quelli di Bologna, dove si possono ammirare le statue del presepe di terracotta, di ogni dimensione. Oltre ai personaggi di sempre, gli emiliani hanno creato nuove figure: la Meraviglia e il Dormiglione sono le più famose, come a ricordare due facce di questa regione serena e gaudente. Nella notte di Natale il mondo prende ancora più vita: e, se siete nei pressi di Galeata, può capitare di vedere un lupo nero che gira più volte intorno all’abbazia di Sant’Ellero, il lupo della leggenda che seguiva il Santo nei boschi, o altri personaggi magici usciti dai racconti dei più anziani.
Durante il giorno, storie e suggestioni vengono portate sulla tavola, che diventa un teatro di delizie e ricordi dei mestieri antichi. Qui, dove hanno saputo rendere dolce anche l’aceto, già solo fare la sfoglia è un’arte che si merita un nome: le signore chiamate ‘sfogline’ sono le sacerdotesse della pasta più morbida e piena d’Italia. Sulla tavola natalizia, dunque, arriva un’infinità di variazioni sul tema: attorcigliate e riempite di infiniti sapori, come i tortellini; distese come le lasagne; arrotolate come i nidi di rondine cotti al forno, le creazioni più variegate di pasta sfoglia fresca all’uovo precedono piatti ricolmi di salumi, formaggi, carni e salse. Arrivati al dolce, se si segue davvero la tradizione, panettone e pandoro vengono sostituiti con dolci molto più ricchi e composti: il Certosino di Bologna, speziatissima variante del Panpepato; il Panone di Natale; i tortelli fritti ripieni di marmellata o crema pasticcera, oppure la Spongata di Brescello e Busseto, la pasta frolla gonfia di pinoli, mandorle, uvetta passa, cedro e frutta candita, prediletta da Giuseppe Verdi.
Silvia Valerio
Articolo pubblicato sul mensile CulturaIdentità.