Discutendo e sorridendo insieme a Silvia Valerio – una bella intervista di Andrea C.

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Ciao Silvia, è un po’ che non ci sentiamo. Come si sta a Padova fra Bacchiglione, Sant’Antonio, zanzare in letargo e nebbia? Sei sempre la solita fiera democristiana biondissima?
Ciao, Andrea. Padova è sempre una città bellissima: soprattutto in questi giorni di pre-primavera in cui sembra che i tetti e le cupole dei monumenti diventino d’oro e di vetro e l’aria profuma di vento.
Io sono sempre bionda, sì, ma direi una fiera anarcoide.

Di questi tempi stai girando l’Italia presentando (e discutendo) i libri delle Edizioni di Ar. Mi piacerebbe soffermarmi in prima battuta su quel gran libro che è “Il Campo dei Santi” di Jean Raspail, che tra l’altro recentemente è stato anche recensito su Il Foglio. Per chi non lo conosce ti andrebbe di spiegare i motivi della sua attualità e quali insegnamenti si possono trarre dalla sua lettura? Oggigiorno a chi paragoneresti Jean Raspail? In cosa vedi i segni di questa invasione?
Gli oggetti modellano l’uomo più che il variare delle idee; per questo l’Occidente era giunto a disprezzarsi e si riversava in massa sulle strade, in fuga verso il nord, vagamente consapevole – senza dubbio – che esso aveva provocato la propria rovina abbandonandosi a troppe bassezze, che non valeva ormai neppure la pena di proibire” (pag. 33)
Il Campo dei Santi è uno dei romanzi più belli che siano stati scritti nell’ultimo Novecento. L’ho letto per la prima volta da ragazzina e ho provato quella sensazione splendida che ti arriva quando incontri un libro che ti piace sul serio, il colpo di fulmine artistico: ho amato subito il ritmo della narrazione, la sincerità nella rappresentazione, lo slancio, l’ironia, la profondità di osservazione dell’animo umano. Tutte caratteristiche piuttosto fuori moda, lontane dalle correnti dalla narrativa contemporanea, che magari può essere stilisticamente notevole ma nella maggior parte dei casi ha perso significato. Quanti romanzi sono solo lo sfogo psicanalitico di un autore?
La lettura di Raspail è un gustosissimo antidoto alla mistificazione. Il Campo dei Santi parla dei problemi che costellano il nostro presente: l’immigrazione sempre più incontrollata, lo strapotere della comunicazione, l’assenza di sincerità e lungimiranza in politica, la morte degli ideali. E delle grandi questioni umane: la perdita di lucidità e autonomia di pensiero e l’incapacità dell’uomo contemporaneo di reagire in maniera sana e vitale di fronte al pericolo. Raspail ha una forza espressiva e visionaria incredibile (considera che il libro è uscito nel 1973), che fa ricordare certi personaggi antichi: profeti ispirati, artisti che leggevano i segni del cambiamento molto, troppo in anticipo rispetto ai loro tempi, e tante volte rimanevano inascoltati, o addirittura pagavano di persona le conseguenze della propria sincerità imperdonabile. D’altronde, l’uomo non si dimentica di chi gli fa aprire dolorosamente gli occhi…
Mi chiedi dell’immigrazione. Certo, è un problema non di immediata e facile risoluzione. Ma quello che dobbiamo osservare, in questo nostro mondo così pieno di informazioni, così pronto a suggerirci cosa scegliere, come pensare, chi salvare, è che se non recuperiamo uno sguardo vivo e autonomo sulle cose finiremo per perdere completamente noi stessi. L’italiano medio non è buono, però si fa catturare volentieri dall’entusiasmo buonista (d’altronde, già Platone insegnava che desideriamo ciò che ci manca…). È cinico, ma vuole credersi empatico. Non ha grande volontà e ama pensarsi pieno di iniziativa. È annebbiato dalla droga umanitaria, pur di aderire al modello del bravo cittadino pieno di responsabilità civile, invece di accorgersi spontaneamente dei drammi che lo circondano e che potrebbe contribuire a risolvere, se solo si scuotesse di un millimetro dalla sua apatia. L’uomo di oggi si concentra solo sui problemi che gli vengono comodamente indicati dai media. E alla lunga finirà per rimetterci la pelle, oltre che l’anima. 
Già che ci siamo, e visto il ruolo della Francia in questo romanzo, mi piacerebbe sapere cosa ne pensi del Front National e di Marine Le Pen e sua nipote Marionne.
È difficile esprimersi in maniera davvero sensata a proposito di una situazione o di un paese dove non si vive. Quello che posso dirti è che provo simpatia per loro e per i valori a cui fanno riferimento. 
Altra collana che stai portando in giro, è, semplificando, quella “giapponese” con testi dedicati al Bushido, a Mishima e molto altro. Non ti sembra che parlare oggi di uomini straordinari come Mishima, dei samurai, di Onoda sia del tutto estemporaneo? E aggiungo, come la prendono gli uomini a sentir parlare una donna di questi temi e in generale a trovarsi di fronte una donna col tuo piglio? 
Al contrario: penso che mai come oggi sia sano e giusto raccontare figure così lontane dal presente, che mostrano come sia possibile vivere in maniera diversa il proprio destino. Il bushi incarna un tipo umano che sembra svanito dal nostro immaginario: un uomo capace di rischiare fino alle estreme conseguenze e di commuoversi per il candore della neve o le ali di un insetto. Un amante perfetto della vita, che conosceva l’importanza di ogni istante perché in ogni istante era pronto a uccidere, essere ucciso, uccidersi. Gentile come sa essere chi è a contatto con la più cupa brutalità, miracoloso come il fiore di ciliegio, che ha un attimo per compiere la propria opera d’arte e poi cadere. È l’amore religioso, tragico per la vita che vibra nei percorsi di questi guerrieri, anche giovanissimi, e che li porta a scrivere quelle incredibili poesie di pochi versi (Perdona la mia durezza,/ carissima,/ prendi il mio cuore/ nella preghiera/ che palpita nelle mani degli dèi. Oppure: Se paradiso, se inferno/ dopo la morte,/ nessuna nuvola è sospesa/ sopra la luna,/ sopra l’eterno crepuscolo/ del mio cuore).
Non saprei dirti esattamente come la prendano gli uomini a cui parlo di questi temi. Mi sembra con cavalleria. (Sarà il contagio positivo?)
Quali sorprese ci si deve aspettare dalle Edizioni di Ar e quali invece i libri già pronti a uscire?
Un libro davvero notevole è uscito proprio in questi giorni: Due in uno di Teresa De Monte. L’autrice è una dottoressa friulana, specializzata in pediatria, che da anni, oltre alla medicina occidentale, studia la tradizione medica antica, in particolare quella indiana. Basandosi sulle teorie dell’Ayurveda ma anche sugli ultimi studi di pediatri e neonatologi di tutto il mondo, questo testo dimostra come anche il periodo della gravidanza influenzi il carattere e la salute del bambino che nascerà e indica le accortezze da avere durante i nove mesi, e anche prima del concepimento, per partorire un figlio sano, forte e felice.
Giri tanto per l’Italia, incontri persone, discuti. Dal tuo punto di osservazione come sta l’Italia? Quali delusioni e quali invece sorprese? E quale luogo d’Italia ti ha particolarmente colpito? Quale meta da raggiungere?
Forse ci sarebbe bisogno della dottoressa De Monte per rispondere a questa domanda… L’Italia è un paese bellissimo. Più ho occasione di visitarla e di conoscerla anche nei suoi angoli remoti, più mi convinco che è un vero splendore dal punto di vista artistico, naturalistico, culturale, dal mare della Liguria a quello che bagna Trieste, dalle pietre rosse di Perugia a quelle di Roma. E sono molto curiosa di esplorare le isole. Non penso di potermi esprimere con lo stesso entusiasmo per quanto riguarda chi abita l’Italia. Vedo troppa delusione, disillusione, apatia. C’è una generazione che, come certi luoghi splendidi e sconosciuti, non viene valorizzata e muore su se stessa. Ci potrà salvare solo quello che Gomez Davila chiama ‘l’apetito de lo grande’: la fame di cose grandi.
Dovremmo cercare di riconquistare l’autonomia di pensiero, la creatività e l’elasticità mentale, una visione delle cose generosa, non individualistica, l’amor fati, una dimensione spirituale. I Giapponesi non avrebbero mai disegnato un’epopea guerriera come la loro se non avessero contemplato in ogni filo d’erba, in ogni grano della loro terra, un pantheon quasi infinito di Dei. Riscoprire il cielo che ci hanno sottratto in questi anni di entusiastico positivismo, e quindi credere in qualcosa che sia più grande di noi – una divinità, un’Idea o un sentimento artistico – vuol dire darci slancio, restituirci la gerarchia, riaprire i nostri sensi al meraviglioso, al miracolo montaliano. Smettere di essere anestetizzati.
La modernità ci ha regalato i veleni più efficaci per qualsiasi empito: il razionalismo e il relativismo. Quell’atteggiamento saputo, quel sorrisetto da secchione che ti fa spiegare ogni accadimento storico solo alla luce dei fattori economici. Ma come spiegherebbero, questi signori tanto furbi, un poema come l’Iliade?
Ritorniamo all’argomento “donna”. Negli Stati Uniti l’elezione di Trump ha prodotto la mobilitazione dalle femministe che si sentono insultate, denigrate dal nuovo presidente. Che giudizio dai di queste mobilitazioni e del presidente Trump? E personalmente cosa ne pensi di Melania e Ivanka? Rischiano il posto se ti vedono avvicinare Trump? E quali sono gli uomini e le donne che più ti fanno incazzare?
 
 
Sulla mobilitazione delle femministe è meglio che non aggiunga altro rispetto a quello che ho scritto poco tempo fa, pena il far scadere questa bella intervista a un livello di coprolalia…
Basta pensare che, quasi in contemporanea rispetto alla manifestazione dove facevano mostra di sé quei teneri cappellini che più che un utero ricordano la forma di un preservativo, è uscito il tanto atteso “50 sfumature di nero” e il giorno di San Valentino tutte si sono precipitate a vederlo, giustificando la contraddizione col fatto che Trump è sessista, mentre le avventure di Mr Grey sono un modo per conoscere se stesse e il proprio corpo e riappropriarsi in autonomia dei propri desideri… A questo punto avrebbero fatto più bella figura a girare con i sex toys di cui amano tanto disquisire invece che con il famoso berrettino.
Trump non è il presidente che sceglierei per il mio stato ideale, ma è un grande, quasi incredibile, segnale di cambiamento. Indica che qualcosa si sta muovendo, nei pensieri delle persone. Si è insinuato un refolo di autonomia tra i mezzi di comunicazione e le teste della gente (cfr. la famosa depressione della giornalista Botteri per il fatto che ormai i giornalisti non riescano più a influenzare l’opinione pubblica – magari!). E speriamo che questa brezza spiri anche sugli europei e sugli italiani.
Quanto a Melania e Ivanka, be’, sei davvero molto carino a ipotizzare una loro preoccupazione rispetto a un mio avvicinamento a Trump! Sono entrambe due splendide donne. Soprattutto Melania. Le basta presentarsi con un vestito color carta da zucchero per far sprofondare nel ridicolo tutti gli stilisti, le loro minacce, i commenti tiratissimi sullo stile di questa o quella first lady del passato. Ivanka mi sembra molto ambiziosa e decisa a ricoprire un ruolo più politico, non solo d’immagine.
Esclusi i casi di violenza esplicita, familiare e non solo, o di brutalità sfogata facendo leva sulla propria superiorità fisica, per cui introdurrei delle pene severissime, quello che più mi fa incazzare di una certa categoria di uomini di oggi è la scollatura che si nota tra comportamento e pensiero. Questi maschi si lamentano del degrado che li circonda, del fatto che non esistano più le donne di una volta, e poi però non rinunciano alle comodità che offre il vivere in questo mondo: sesso facile e frequente, vasta scelta, poche responsabilità. Vorrebbero una donna insieme seria e allegra, fedele ma mondana, intelligente ma discreta, realizzata nel lavoro ma oblativa nei confronti della coppia. Insomma, un grazioso concentrato di opposti, una perfetta geisha. La cosa può anche star bene, ma c’è da ricordare che le geishe di solito erano destinate ai grandi sovrani o condottieri. E forse questi epigoni del Mango cantante di “Oro”, prima di slanciarsi in certi nostalgici discorsi, dovrebbero prima domandarsi se sono anche vagamente simili a un sovrano o a un condottiero. Comincino loro ad assomigliare agli uomini di una volta e probabilmente rivedranno comparire anche la donna che sospirano.
Il problema femminile sta da una parte in certe caratteristiche che purtroppo sembrano connaturate nel genere: prima tra tutte la propensione, distruttiva e autodistruttiva, all’invidia, più marcata rispetto ai maschi. Poi, c’è il fatto che, rincorrendo il femminismo anni ’70, dimenticano di considerare un femminismo più autentico: quello che dovrebbe portarle a rispettare davvero la propria libertà e la propria sensibilità, a scoprire in se stesse, nei propri talenti e nei propri scopi, la felicità, a non inseguire i modelli sessuali veicolati dalle riviste, a smettere di imitare i maschi in maniera grottesca (cfr. quelle espressioni disgustose mutuate dal linguaggio maschile: “mi sono fatta Tizio” etc. etc.). Meglio cercare di essere delle grandi donne più che dei piccoli maschietti.
 
E invece cosa ne pensi della Raggi e del Movimento 5 Stelle?
Avrei voluto che li avessero lasciati un po’ più tranquilli. Tra polizze e non polizze si è capito poco di quello che sono capaci di fare.
Nei giorni scorsi ho letto il tuo intervento e quello di tua sorella Anna sul suicidio di Michele e del sedicenne di Lavagna. Mentre ti sto scrivendo leggo che, attorno al Carnevale qui in Ticino, ci sono stati un giovane morto e un pestaggio con due arresti sempre fra ragazzini. Che impressione ti sei fatta di questa nostra, tua, generazione? E quale futuro ci aspetta? Da una parte si parla di liberalizzare, dall’altra la repressione, da un’altra l’educazione? Dove sta la strada?
Mi sa che la nostra generazione è molto in difficoltà, e quelle che ci seguono anche di più. Quando mancano le cose belle e grandi in cui credere si sprofonda nel vuoto e quando si è nel vuoto si cercano vie d’uscita lisergiche. Tutti i discorsi sulla liberalizzazione mi fanno abbastanza schifo. Una gran giravolta di ragionamenti tattico-economici, quando ci si dovrebbe semplicemente chiedere: che effetto può fare il fatto che un ragazzino trovi, comodamente a disposizione, della droga così come già trova l’alcool e le sigarette (che in teoria non dovrebbero essere venduti ai minori, e invece vediamo correntemente quattordicenni appesi alla bottiglia il venerdì sera)? Gli opinion leader e certi politici si preoccupano perché sostengono che se le droghe fossero liberalizzate ci sarebbe più controllo sulla qualità? Ma cerchino piuttosto di creare delle alternative per questi ragazzi, invece di spingerli a scegliere il male minore! Se solo si dessero un minimo da fare, probabilmente il sistema dello spaccio sarebbe già stato distrutto. Evidentemente, la situazione fa comodo così com’è. I ragionamenti che ci propongono sono molto simili a quello che si dice in questi giorni a proposito dell’eutanasia. Grandi discorsi, enormi circonvoluzioni verbali e poi una sola sarebbe la grande domanda da porre: se dovete preoccuparvi di qualcosa, perché non pensate a far vivere meglio la gente piuttosto che a farla meglio morire? Oppure lasciate perdere, occupatevi d’altro e dimostrate più buon gusto.
Sicuramente i genitori dei ragazzini che vivono in questi anni sono chiamati a scoprire una determinazione, un’intelligenza e una sensibilità superiori a quelle richieste in altri tempi. Non credo nella repressione, ma è certo molto difficile indicare la formula perfetta per ogni caso, ogni famiglia, ogni classe scolastica. Quello che penso, come dicevo prima, è che bisogna ripopolare il cuore e la mente di questi ragazzi di bellezza e di giustizia, far loro riscoprire dei desideri che li portino verso l’alto.
Sempre parlando di giovani, vorrei sapere cosa ne pensi dei fatti di Bologna (tornelli, eccetera). Sei una studentessa anche tu. Come va la scuola? E cosa ne pensi dell’alternanza scuola-lavoro?
In realtà, io ora sono – felicemente – fuori dal sistema scolastico (l’intervistatore sorride). Ti dico felicemente perché, per quanto io sia una persona curiosissima e che ha sempre amato lo studio, non ho trovato nelle scuole che ho frequentato nessun profondo insegnamento, se escludiamo le nozioni su come procedere con un’ossidoriduzione o sui poeti alessandrini. Ho imparato molto di più dagli studi anarcoidi che ho coltivato per conto mio, dalle esperienze e esperimenti della vita, dalle persone che mi sono scelta, dal lavoro. Per quello che ho visto io, la scuola è distrutta. Sospesa tra l’indifferenza dello stato e la comunità nevrotica e terrorizzante dei genitori, si è ridotta a una specie di noiosa anticamera del vuoto che ti aspetterà dopo, se non sei molto fortunato o molto determinato e costante e dotato di una buona dose di cinismo. Il sistema d’istruzione di oggi è scollato dal reale, ti insegna materie che non ti servono, ti inculca comportamenti che non ti appartengono, ti obbliga a donarle il tuo tempo e rimanda di continuo il momento in cui incontrerai il mondo vero. Invece di prepararti, irrobustirti, di rispettare le tue predisposizioni e farti scoprire i tuoi talenti, di costruire uomini e donne liberi. Un vero dramma, visto il numero degli anni di vita che ci passiamo. Eppure, dovrebbe essere un’istituzione sacra, così come occuparsi dell’educazione è tra i mestieri più belli che si possano scegliere.
L’alternanza scuola-lavoro invece è una delle iniziative più intelligenti che siano state proposte. Aiuta ad avere un’idea realistica delle diverse professioni, a sviluppare un rapporto sano con le cose e un senso di presenza e responsabilità. Il modo migliore per imparare qualcosa è farselo insegnare da chi maneggia la materia giorno dopo giorno. Questa comunicazione stretta con il mondo del lavoro dovrebbe essere introdotta già dal primo anno delle superiori, e in tutti i percorsi scolastici, così come un tempo era possibile andare a bottega da qualcuno per imparare un’arte o un mestiere.
Per quanto riguarda i fatti di Bologna, come per le manifestazioni anti-Trump, ti direi che la gente riesce sempre a trovare dei motivi scemi per muoversi, tanto quanto è brava a guardarsi bene dal protestare per ragioni serie. Però ti confesso che gli scontri, le proteste, i cassonetti rovesciati, la carica della polizia… tutto dal punto di vista estetico era molto avventurosamente retrò, vitale, e non nego che mi abbia divertito.
E cosa stai leggendo, slegata da impegni?
 
 
In questo periodo ho letto molto Lansdale, che ho scoperto per caso chiedendo consiglio a un libraio di Varese. Ora mi sono immersa in La peste scarlatta di quel fantastico pazzo di Jack London. Mi piace molto la narrativa maschile.
Quale auspicio per i prossimi mesi?
Ti direi: incontrare sempre più persone con cui costruire sinergie culturali, spostare almeno un po’ la direzione in cui sta andando il mondo, approfondire quei due, tre studi anarcoidi che sto coltivando.
E che domanda faresti tu a me?
Be’. Me ne verrebbero molte. Ne scelgo una: per cosa vale la pena vivere?

È una domanda che meriterebbe una lunga discussione ma ti rispondo per quello che mi sento scorrere nelle vene e nel cuore. Stasera ti rispondo cosi': per la purezza e la bellezza incarnate dal lago che si veste di primavera. Vestirmene e affrontare il mondo.