Ti svegli morbida e serena. Il sole splende, il clima è mite e tutto congiura a renderti iperfemminile. Apri la finestra e potresti avere un istinto materno nei confronti del piccione appollaiato sul davanzale.
Poi lo fai, l’errore. Dai giornali e dal web apprendi che nelle ultime ore, in varie città del mondo, ma soprattutto nella capitale americana Washington, sono state organizzate manifestazioni di piazza contro il neopresidente Trump. Per essere filologici, si tratta di marce. Nelle fotografie si vedono donne, ma non solo, che camminano inalberando cartelloni con scritte del tipo: Power to the pussy, My pussy my choice, Boobs not Bombs, e poi immagini inquietanti: organi sessuali femminili dentati o antropomorfizzati, per non parlare del vero simbolo della lotta, un berrettino fucsia acceso con due specie di orecchie pendenti, a rappresentare l’utero femminile. Effettivamente, già indossarli è un atto rivoluzionario.
Ritratti ordinari – tizi che pagano alla cassa tazze da colazione e felpe con la scritta Not my president, – si alternano a immagini strazianti: afflitti di varie età che firmano ringraziamenti sopra ritratti di Obama disegnati a pennarello e uomini seduti per terra accanto al cartellone Michelle 2020. Fuck the Cistem, Get your rosaries off my ovaries. E ci sono ragazze, certo, insieme a donne che di marce ne dovrebbero fare decisamente di più, gente che si avvolge in bandiere arcobaleno, persone di sesso indistinto, famigliole, uomini (almeno in teoria) e, come racconta una giornalista italiana in un articolo commosso: “professoresse, immigrate, lesbiche, transgender, clandestine, ex detenute, vittime di stupri, attrici, avvocatesse, sindache (per la gioia della Boldrini n.d.a), senatrici, poetesse, musiciste, suore.” La giornalista italiana e le colleghe ormai hanno oltrepassato la fase depressiva del non-più-Obama, tutte prese dal climax orgasmico del Fare Rete per i Diritti di Tutti, dello Sdegno (un franco consiglio agli amici maschi che vogliano rimorchiare una radical chic: nella tasca dei jeans, oltre alle solite cose, portatevi anche un po’ di Sdegno, ha un effetto fantastico sulla categoria), e a metà tra Federico Moccia, Osho e ciclostilati da occupazione sessantottina, scrivono commenti in cui si parla del Resistere, dell’Orgoglio di Quello che sono Capaci di fare le Donne, del Valicare Razze, Generazioni, Religioni, Orientamenti sessuali e chi più ne ha più ne metta. Io e te tre metri sopra Obama.
Poi, sì, qualche cronista particolarmente ispirato piazza pure a corredo degli articoli foto aeree di vent’anni fa, per rendere il tutto più solenne e imperiale – ma, si sa, l’Idea vuole persone visionarie.
Sul palco americano, a un certo punto, arriva anche Madonna. Per qualche pompino? Direte voi. Ma no, a quello non ci pensa più! Pensa a combattere contro l’ingiustizia. “La rivoluzione inizia da qui”, grida lei, “la rivoluzione dell’amore”, determinata e incazzata peggio del solito, e mentre parla di vita, ribellione, tirannia, pericolo, emarginazione, i giornalisti riprendono ogni mossa, ogni nota della canzone ‘Express yourself’, ogni gesto del braccio, anche il “fuck you” e il “Donald Trump, go suck a dick” accidentali che mandano in diretta in mondovisione costringendo poi la collega in redazione a discostarsi graziosamente dal particolare gergo artistico.
C’è chi, come Gloria Steinam, ha uscite creative davvero in grande: “Trump, se obbligherai i musulmani a registrarsi perché siano schedati, sappi che ci registreremo tutti come musulmani”.
C’è chi, testardo, non perde occasione per minacciare Melania Trump di rimanere senza stylist.
E c’è qualche confusa che parla di tutela delle differenze. Perché nella girandola colorata della marcia, evidentemente, non è tanto importante essere logici quanto farsi sentire: quindi si parla insieme di amore e di aborto, di diritti dei gay e di libertà della donna (e la maternità surrogata?), di rifiuto della tirannia e dell’America che deve ricominciare a pensare, di sanità, di guerra, di pace e probabilmente anche del surriscaldamento globale e dell’estinzione del lupo.
Finché, all’imbrunire, tra scritte, disegni e vagine che spuntano da ogni dove, il monumento equestre di Thomas Square sembra il cancello di un concerto di Justin Bieber. Sui social network i commenti degli italiani medi si sprecano: “Anche io ci sono!” “Che cosa fantastica!” “La bellezza!”
Insomma, il fatto che le persone siano pronte a muoversi, agire e rischiare per le cose importanti suscita davvero tante emozioni. Infatti poi, senza sapere bene perché, provi un sentimento finora sconosciuto. L’invidia del pene.