‘Anche se piove’, la scuola col sole nel cuore.
Che cosa può dire, della scuola italiana, un giovane giornalista che per lavoro passa i pomeriggi in compagnia di bambini dai 6 agli 11 anni? Non dipingerà sicuramente dei sereni quadretti bucolici, a meno che per bucolico non si intenda l’albero di noci del cortile scolastico colpito da un pallone, che diventa oggetto di circolari, mobilita l’attenzione di preside, insegnanti, bidelli, fino a rischiare l’intasamento delle caselle di posta del corpo docente, che di solito di quelle noci si nutre.
Testimone sarcastico e disincantato dello stato di (dis)grazia della scuola italiana, Tancredi Sforzin è laureato in Scienze Politiche e di solito nei suoi scritti si occupa di geopolitica, cultura e mala società italiana. Appartiene alla generazione che più ha il diritto di dire la sua sulla scuola, perché è quella dei ragazzi che, quando dovevano affacciarsi sul mondo del lavoro, c’è mancato poco che non affondassero nel buco nero della ‘magnifica crisi e progressiva’. Continua a leggere
Quando non insegna ai ragazzi dei suoi licei salernitani a pensare, Giovanni Damiano cerca di farlo con noi adulti, attraverso i libri che pubblica, coraggiosi incentivi alla libertà di pensiero. Per questo è diventato tra gli autori di riferimento di quell’area identitaria che sta crescendo, tra un flirt con Matteo Salvini e una tirata contro le imposture del berlusconismo.
Con la lucidità e la purezza di chi non ha vincoli nell’espressione delle proprie opinioni, Damiano analizza fenomeni sempre più urgenti, come l’immigrazione, il necessario interrogarsi sulle origini, il rapporto con la potenza americana, il mondo moderno, la libertà. (Elogio delle differenze; L’emozione genealogica; L’Espansionismo americano, tutti pubblicati dalle Edizioni di Ar). Sulla scuola italiana, è realista: studia e si impegna, da dentro, per migliorarla, elabora progetti concreti, ma insieme manca di quella caratteristica, tanto tipica dell’uomo moderno, del mentire a sé stesso. Damiano ammette chiaramente che “se ‘aprire la mente’ significa imparare a pensare contro il proprio tempo, non c’è universo più distante della scuola pubblica da un simile proponimento”. Continua a leggere
Ha iniziato a insegnare a 18 anni, nel napoletano, e subito ha cercato di innestare nella didattica lo studio della realtà e l’educazione all’impegno che si direbbe ‘civile’: con progetti centrati di volta in volta sulla legalità, l’ambiente, la lotta al degrado e all’inquinamento da rifiuti tossici. Poi, nel 2007, Maria De Biase ha vinto il concorso per diventare dirigente scolastico e da Napoli si è trasferita a San Giovanni a Piro, lasciando a bocca aperta le insegnanti che aspettavano la “preside di città”. Le sue innovazioni sono cominciate con la creazione di orti sinergici nei giardini di scuola, il compostaggio dei rifiuti, il riciclo, la colazione fatta con pane e marmellata e la merenda a pane e olio, il ritorno a quelle tradizioni semplici e spesso più intelligenti di tante nuove mode – perché, come scrisse Manzoni, “non sempre ciò che vien dopo è progresso”.
Ora, trent’anni dopo il suo primo giorno in aula, Maria dirige diciotto plessi scolastici, è responsabile di 1200 alunni e da sola fa il lavoro di tre dirigenti scolastici. I suoi mille e più bimbi hanno dimenticato le merendine confezionate, sanno che non bisogna bruciare la plastica e come si raccolgono le fave nell’orto, conoscono i tempi di maturazione del grano, si muovono a piedi, partecipano a progetti teatrali. Maria De Biase è stata più volte premiata per il suo impegno, però la burocrazia italiana non ha ancora smesso di mettersi di mezzo, le polemiche e gli ostacoli ci sono, non tutti sono contenti delle soluzioni che propone. Chissà cosa potrebbe fare una persona piena di passione e coraggio, nel nostro paese, se ci fossero in giro meno ignavia e pregiudizi e più lungimiranza… Continua a leggere
Ha fatto baciare una suora bellissima e un giovane prete. Ha messo testa a testa – o meglio: di profilo – Israele e Palestina. Ha dato celebrità ultraterrena ai jeans Jesus. Ha ritratto migliaia di corpi: giovani, vecchi, bianchi, neri, entusiasti o desolati, torniti di splendore, consumati dalla vita. Figlio del primo fotoreporter del Corriere della Sera, nato nel ’42, Oliviero Toscani ha scritto la storia della fotografia e della comunicazione italiana. Ha usato la macchina fotografica come un’arma e ha saputo costruirsi una carriera artistica che poggia su una creatività spregiudicata, totale. Guru storico di Benetton, professore in varie università, Toscani ha creato campagne pubblicitarie per i più grandi marchi italiani, ha organizzato mostre, scritto libri, prodotto programmi televisivi, ricevuto premi internazionali, catalizzato ed educato talenti, pensato e costruito progetti di interesse ambientale e sociale (celebri le sue opere sui temi della chirurgia estetica e dei disturbi alimentari, ma anche quelle sulla sicurezza stradale e la tutela del patrimonio ambientale italiano). E, da qualche anno, potete perfino assaggiare il suo olio Extravergine, bere il suo vino e indossare i suoi occhiali. Non aspettatevi soluzioni borghesi, da Toscani, e neanche comode (false) speranze. La sua certezza categorica è una: se non si è mediocri, se si è molto curiosi e molto svegli, e ci si vuol ritagliare il proprio spazio decoroso nel mondo, oggi si ha bisogno di tanto ma tanto… Jesus, naturalmente. Continua a leggere