Pragmatica, intelligente, contemporanea: l’educazione di oggi, secondo Roger Abravanel, dev’essere così. Deve scuotersi di dosso le comodità che diventano inerzia e dipendenza, le conoscenze che non possono fiorire nella pratica, l’abitudine a sostituire con la memoria il ragionamento, l’iniziativa e l’approfondimento personale. La scuola, soprattutto, deve promuovere il merito e, a sua volta, cercare di migliorarsi senza tregua. Abravanel, premiato nel ’68 come il ‘più giovane ingegnere d’Italia’, dopo la laurea in ingegneria chimica, ha alle spalle una lunga carriera all’interno della società di consulenze McKinsey&Company, di cui oggi è director emeritus. È consigliere di amministrazione di aziende internazionali e italiane come Luxottica, Banca Nazionale del Lavoro, Istituto Italiano di Tecnologia. Presidente dell’Insead Council italiano, è editorialista del Corriere della Sera e ha alimentato il dibattito sui temi del lavoro, della meritocrazia e della scuola con pubblicazioni come Meritocrazia, Regole, Italia, cresci o esci. L’ultimo suo libro, La ricreazione è finita. Scegliere la scuola, trovare il lavoro, scritto a due mani con Luca D’Agnese, affronta di petto i problemi della scuola italiana di oggi, offre nuove visuali raccogliendo testimonianze di giovani che sono riusciti a mettere a frutto i propri talenti, propone soluzioni realistiche e aiuti ai genitori e ai ragazzi perché si indirizzino al meglio nella scelta del corso di studi, spiegando con che criteri valutare una scuola e come orientarsi di conseguenza. Perché i giovani e le famiglie italiane non possono lamentarsi del sistema scolastico se poi continuano a scegliere e a comportarsi in modo stereotipato. Il miglioramento di tutti (e tutto) deve partire dalla volontà e dal coraggio di ciascuno.
La scuola di oggi riesce a dare agli studenti gli strumenti per affrontare le necessità di questo tempo? È ora di riformare radicalmente i suoi programmi? Partendo da cosa?
I sondaggi mostrano che i datori di lavoro italiani sono tra i più insoddisfatti della preparazione degli studenti italiani, e gli studenti stessi concordano. Da un altro sondaggio che ho pubblicato a settembre è emerso che le famiglie italiane sono sì soddisfatte di come la scuola formi a una cultura generale ma, di contro, molto insoddisfatte del modo in cui prepara al lavoro; considerano la qualità degli insegnanti e dell’insegnamento il problema principale. Eppure i docenti italiani, in maggioranza, non la pensano così. Ritengono di formare adeguatamente i giovani anche al lavoro e che il problema principale sia il loro precariato e gli stipendi troppo bassi. Nel mio ultimo saggio La ricreazione è finita. Scegliere la scuola, trovare il lavoro spiego come la scuola italiana sia la principale responsabile dell’alta disoccupazione giovanile nel nostro paese.
Che cosa cambierebbe, che cosa toglierebbe, che cosa introdurrebbe?
C’è bisogno, in generale, di più meritocrazia e più trasparenza. Bisogna agire sulla qualità e sulla preparazione degli insegnanti: ce ne sono moltissimi di bravi che occorre formare in maniera che trasmettano agli studenti le nuove competenze necessarie, le cosiddette competenze della vita, ma altri che vanno assolutamente sostituiti con una nuova generazione di professionisti. Introdurrei una valutazione esterna da parte di ispettori di qualità, sulle scuole e sugli 8.000 presidi italiani, e in secondo luogo affiderei ai presidi selezionati la valutazione degli insegnanti. Renderei infine più credibili e comprensibili i dati Invalsi pubblicati nel sito ‘Scuola in chiaro’.
Come potrebbe una buona scuola favorire l‘inserimento nel mondo del lavoro?
Innanzitutto, trasmettendo in maniera più uniforme le conoscenze, promuovendo il ragionamento individuale e non lo studio mnemonico. Oggi i dati PISA e INVALSI mostrano che c’è un’enorme differenza tra nord e sud Italia e tra licei e istituti tecnici. C’è bisogno di aggiungere in tutte le scuole, anche nelle migliori, una nuova didattica, che faccia conquistare ai giovani quelle competenze che sono davvero importanti nella vita e nel lavoro di oggi: etica del lavoro, spirito critico, iniziativa, capacità di risolvere problemi, di comunicare e di lavorare in gruppo. Quanto alla didattica, andrebbe rivoluzionata: meno lezioni frontali (che magari si potrebbero organizzare via web) e più dibattiti e progetti a scuola. Un’altra novità indispensabile è un vero apprendistato organizzato. La semplice alternanza scuola-lavoro non è più sufficiente per preparare i giovani: il lavoro è cambiato e la scuola non può rimanere sempre la stessa.
È ancora sensato puntare a una pedagogia di tipo etico-astratto, idealistico, invece che funzionale? Non è un prendersi in giro fingendo vivo un universo di valori assoluti che la storia recente ha ucciso? La formula “serve per aprire la mente” non ha il sapore di un’illusione?
Una buona didattica si deve certamente basare su teoria e pratica. Lo studio teorico, però, si può affrontare in due modi: facendo studiare a memoria oppure spingendo ad approfondire e a ragionare, insegnando un metodo che permetta di imparare anche dopo la scuola, nel lavoro e nella vita.
L’alfabetizzazione di massa è un problema ormai superato. Varrebbe la pena lasciare, fin dalle elementari, più libertà di scelta agli studenti e alle famiglie, sia per quanto riguarda la possibilità di specializzarsi in certi ambiti piuttosto che in altri, sia per quanto riguarda gli orari in cui frequentare la scuola? Mantenere magari un minimo di ore obbligatorie e renderne facoltative e personalizzabili altrettante?
In Italia ancora oggi, purtroppo, ci sono molti analfabeti, dove l’OCSE ci valuta analfabeti sulla base dell’alfabetizzazione alle competenze della vita. In questo campo abbiamo dei risultati spaventosi: gran parte della popolazione adulta sa leggere ma non capisce bene ciò che legge, non possiede le minime basi di comprensione della matematica. La libertà di scelta che conta, per le famiglie, è quella di scegliere per i propri giovani le scuole dove la didattica è migliore. Per far sì che questo possa avvenire, però, occorrono più trasparenza sulle performance obiettive delle scuole e un maggiore impegno delle famiglie a capire meglio la qualità della didattica.
Non è necessario, sempre, dalle elementari alle superiori, lasciare ai ragazzi del tempo per coltivare altre qualità oltre all’efficienza della mente?
Credo fermamente nell’efficacia dello sport e della musica per il consolidarsi di qualità come la capacità di concentrazione, di lavorare in gruppo, la volontà. Poi, se un ragazzo ha altre passioni come l’antropologia cinese, le stampe giapponesi, la lirica, le può coltivare da solo fuori dalla scuola o nella vita. Penso che un po’ di più di quella che lei chiama ‘efficienza della mente’, imparata a scuola, non guasterebbe, se la intendiamo come la capacità di ragionare correttamente. Purtroppo, questa è una carenza anche di gran parte della nostra classe dirigente. Un dato molto grave che appare dai test PISA è che in Italia abbiamo davvero poche eccellenze tra i giovani, meno che in Grecia e pari al 50% in meno della media OCSE. Questo non è il risultato di una mancanza di potenziale dei giovani, bensì della scuola, dove l’eccellenza non viene né promossa né coltivata e all’‘efficienza della mente’ vengono spesso tarpate le ali.