Da quando, negli anni ‘90, ha portato nelle librerie Walter, il protagonista alter-ego di Tutti giù per terra, Giuseppe Culicchia ha insegnato agli italiani a guardare con sospetto i tic del mondo moderno: il suo compiacimento nevrotico per le contraddizioni, la sua religione della vanità, la sua diffidenza rabbiosa verso ciò che ha valore, la sua tristezza congenita. Ma in Culicchia non ci sono né la pesantezza del moralista né pose pedagogiche; solo un’ironia irresistibile che non si stanca di indicare la schiena nuda del re. E talento, un talento capace di infilare pagine su pagine di puro virtuosismo. Dopo libri che sono diventati quasi dei classici, come Tutti giù per terra, Il paese delle meraviglie, Paso doble, Bla bla bla, Brucia la città, vari scritti dedicati alla città di nascita, Torino è casa mia, BA-DA-BUM! (Ma la Mole no!), e alla Sicilia paterna, Sicilia, o cara, una guida ai murales di Torino, Duri e muri, una serie di confidenze amichevoli e disincantate agli aspiranti letterati, E così, vorresti fare lo scrittore, numerose traduzioni importanti – di Mark Twain, Bret Easton Ellis, F.X. Toole, Hervé Kempf, Francis Scott Fitzgerald –, Giuseppe Culicchia ha pubblicato quest’autunno il suo nuovo libro per EDT (casa editrice delle celebri Lonely Planet). My Little China Girl è un’insolita guida culinaria per orientarsi a Pechino. Tutto cominciò con la curiosità di visitare il ristorante del Partito Comunista Cinese…
Se anche voi siete tra chi si è appassionato agli scambi di bestemmie tra Attila e Zazzi, i due protagonisti adolescenti de Il paese delle meraviglie, o tra chi, all’università, ha provato lo stesso senso di straniamento di Walter, sarete curiosi di scoprire cosa ne pensi Giuseppe Culicchia dei guai e delle fortune della scuola italiana.
La scuola di oggi riesce a dare agli studenti gli strumenti per affrontare le necessità di questo tempo? È ora di riformare radicalmente i suoi programmi? Partendo da cosa?
A me pare che la scuola di oggi, ahimè, non sia in condizione di assolvere ai suoi compiti e che questo problema abbia varie cause, a cominciare dal fatto che, in Italia, da sempre, non si investa abbastanza nell’istruzione, nell’università, nella ricerca. E’ un grande errore, carente di lungimiranza: l’unica chance che questo paese può offrire alle sue nuove generazioni è proprio il fatto che si presentino preparate al futuro. Al momento, ciò è impossibile perché, come sappiamo, le scuole cadono a pezzi, e non solo dal punto di vista materiale. Il corpo docente è poco retribuito e, soprattutto, ci sono dei programmi intaccati dall’avvicendarsi continuo delle riforme – innovazioni che hanno provocato più danni che altro. Forse l’ultima che ha davvero portato qualcosa di positivo è stata la riforma Gentile. Dopodiché, le altre hanno compromesso una situazione che non era di eccellenza (usando una parola che va molto di moda oggi), ma era sicuramente positiva: avevamo un’ottima scuola e l’abbiamo smontata.
Che cosa cambierebbe, che cosa toglierebbe, che cosa introdurrebbe?
Uno dei problemi dell’Italia è che si legge poco e credo che la scuola contribuisca, suo malgrado, al fatto che i lettori diminuiscano anziché aumentare. C’è un’iniziativa interessante che sta per partire, grazie a ‘Letteratura Rinnovabile’, un’associazione che si occupa della promozione della lettura: organizzeranno nelle scuole degli incontri in cui scrittori e lettori scelgono dei testi e li leggono ad alta voce, in cui i professionisti dell’editoria parlano con gli studenti e spiegano loro come hanno smontato e rimontato uno scritto e come l’hanno fatto rivivere – perché poi la letteratura nasce proprio così, da alcune storie raccontate intorno a un fuoco. Mi pare un bel modo per togliere quel velo di polvere che pensiamo abbiano soprattutto i classici, i quali, invece, in quanto classici, sono sempre contemporanei. Mi piace anche il fatto che gli studenti stessi siano coinvolti, vengano chiamati a prendere un libro, a leggerlo ad alta voce, a sintetizzarlo, a trovare le parti che meglio dicono la storia. Credo sia una piccola grande idea per rimediare al disamore per la lettura cui assistiamo.
Un’altra iniziativa che trovo molto valida è ‘Nati per leggere’, dell’Associazione Pediatri Italiani, con la quale si invitano i genitori a leggere storie ad alta voce per i figli, fin dalla culla. E devo dire che funziona, perché se si riesce a divertire un bambino con delle storie, poi lui le chiederà ancora e ancora e le cercherà autonomamente. Purtroppo sono questi lettori per passione che, a un certo punto, proprio incontrando a scuola i testi obbligatori e le schede di lettura connesse, si disamorano del libro. E recuperarli è molto difficile.
Come potrebbe una buona scuola favorire l‘inserimento nel mondo del lavoro?
Per prima cosa ci sarebbe da mettere mano al mondo del lavoro. Come sappiamo, trovare una professione decente da svolgere, oggi, è problematico. Non è detto che si riesca ad avere un’occupazione coerente con i propri studi, c’è una gerontocrazia ancora abbastanza imperante e il nostro è un paese in cui si fa fatica a veder riconosciute le proprie qualità, il proprio valore. Molte volte un neolaureato deve adattarsi a lavori sottopagati, precari, lontani dalle sue capacità e dalle sue competenze e tanti tra i più bravi scelgono di andarsene dall’Italia in cerca di condizioni più favorevoli. La scuola si scontra con un’epoca che ha fatto degli enormi passi indietro: precarizzare tutto, far sì che un giovane neodiplomato o neolaureato non abbia, molto spesso, altra prospettiva che quella di vedersi proporre contratti a termine, contratti a chiamata o simili, significa regredire. Le hanno chiamate riforme, ma in realtà sono guai che hanno riportato indietro le lancette della storia.
Cosa potrebbe fare la scuola? Certo, prevedere dei momenti in cui i ragazzi si confrontino con il mondo del lavoro, ma credo che il problema di fondo sia proprio la legislazione sul lavoro, il mercato del lavoro, il fatto che ci sia stata una pesante svalutazione dell’uomo, rispetto al lavoro, che ha radici lontane – dobbiamo ancora ringraziare il decennio nefasto degli anni ’80. Io, all’epoca, lavoravo in una libreria di una catena. Ricordo che a un certo punto ci venne spiegato che i clienti, entrando, non dovevano parlare con un libraio. Dovevano guardarsi intorno, orientarsi in base al display che presentava i libri, pagare, uscire. Il tutto perché non ci fosse bisogno di troppo personale. È stato così che, poco per volta, si è distrutto un mestiere: oggi entrare in libreria e trovare un libraio competente non è scontato, il libro si è ridotto a pura merce e le case editrici sono in grave difficoltà.
È ancora sensato puntare a una pedagogia di tipo etico-astratto, idealistico, invece che funzionale? Non è un prendersi in giro fingendo vivo un universo di valori assoluti che la storia recente ha ucciso? La formula “serve per aprire la mente” non ha il sapore di un’illusione?
Io ho frequentato ragioneria e a me ragioneria ha aperto la mente. Nel senso che detestavo talmente le materie tecniche che per me la letteratura era una boccata d’aria fresca, il mio unico rifugio. Wim Wenders diceva che il rock’n’roll gli aveva salvato la vita; io sono stato salvato dagli scrittori che leggevo all’epoca della scuola e che non c’entravano nulla col programma scolastico. Ho sempre letto per conto mio moltissimi libri che esulavano dalle imposizioni, mentre non ero in grado di apprezzare una serie di letture comandate – dal Tasso all’Ariosto.
Questa teoria dell’‘aprire la mente’ è poi molto vaga: credo che parlando con uno che abbia competenze scientifiche ci si sentirebbe rispondere che sono la fisica e la matematica che aprono la mente… Per quanto mi riguarda, continuo a pensare che la letteratura ci aiuti a comprendere meglio il mondo in cui viviamo, che ci dia degli strumenti in più per la formazione della personalità e della sensibilità. Detto questo, non credo che iscriversi al liceo classico dia di per sé tali possibilità. In base alla mia esperienza personale e a quella di varie persone che conosco, so bene che tutti noi dobbiamo qualcosa a quegli insegnanti che spiccavano sugli altri perché per qualche motivo ci hanno illuminati. Al di là del tipo di scuola e di indirizzo che si scelgono, credo sia importantissimo trovarsi davanti a dei docenti che sappiano davvero trasmettere qualcosa che va al di là del programma di studi, che sappiano far aprire gli occhi a dei ragazzi che, in quel momento, sono distratti da tantissime cose, dagli ormoni alla tecnologia.
E’ per questo che il corpo insegnanti andrebbe preso in considerazione in maniera più attenta da chi di dovere: sono i professori a portarci verso l’età adulta. Io, in questo, sono stato molto fortunato, fin dalle elementari: avevo una maestra severa ma giusta, che richiedeva un grande impegno da parte di noi bambini. Di fatto, campo ancora sulle elementari.
L’alfabetizzazione di massa è un problema ormai superato. Varrebbe la pena lasciare, fin dalle elementari, più libertà di scelta agli studenti e alle famiglie, sia per quanto riguarda la possibilità di specializzarsi in certi ambiti piuttosto che in altri, sia per quanto riguarda gli orari in cui frequentare la scuola? Mantenere magari un minimo di ore obbligatorie e renderne facoltative e personalizzabili altrettante?
Mi sento abbastanza tradizionalista. La libertà di scelta presuppone la capacità di scegliere e non credo che tutti abbiano questa maturità: siamo diversi, ciascuno di noi ha il suo percorso da fare e qualcuno manca di consapevolezza. Poi l’idea che tutti debbano arrivare a un livello uguale è controproducente: in una classe di venti, trenta ragazzi, c’è chi va meglio, chi va peggio, chi ha determinati interessi, chi non li ha, chi ne ha tutt’altri. Il compito dell’insegnante è cercare di lavorare al meglio con questa materia multiforme.
In genere, i bambini e gli adolescenti hanno bisogno di guide e di regole. Poi, è giusto che si ribellino, ma se non ci sono, le regole, è difficile ribellarsi.
Non è necessario, sempre, dalle elementari alle superiori, lasciare ai ragazzi del tempo per coltivare altre qualità oltre all’efficienza della mente?
Il corpo è storicamente trascurato dalla scuola italiana e questo di sicuro non è un bene, non soltanto perché anche noi, per via del cibo spazzatura, siamo arrivati ad avere la nostra quota di bambini sovrappeso, ma perché, come dicevano i latini, “mens sana in corpore sano”. Sì, bisognerebbe trovare del tempo in più per il corpo e anche per la musica, che, in molti casi, si riduce a un’ora striminzita in cui si mette in mano ai bambini un flauto. Temo però che la scuola italiana non sia attrezzata per affrontare simili questioni, perché, così come cadono a pezzi le scuole, cadono a pezzi le palestre e gli impianti sportivi sono molto spesso fatiscenti, vandalizzati.
È vero, almeno qualche volta, che “lo stupido istruito ha solo un campo più vasto per praticare la sua stupidità”?
È verissimo. Nella mia vita ho avuto la fortuna di incontrare persone molto diverse e ho riscontrato nella realtà la verità di queste parole. Ahimè, bastasse una laurea per essere intelligenti… Ma così non è.
Per leggere l’intervista su Barbadillo.it.