“Se noi abbiamo coscienza di quel che è giusto e non lo compiamo, allora manchiamo di coraggio.”
“Di tutte le cose la sincerità è fine e principio: nulla verrebbe ad esistenza mancando la sincerità. Non rimproverare alcuno, ma rimani sempre attento a non smarrire la retta via.”
“È solo una melagrana colui che quando apre la bocca mostra tutto il contenuto del suo cuore.”
Sono sentenze raccolte nel Bushido, il codice comportamentale dei samurai, ma che potrebbero (o dovrebbero?) essere insegnate in qualsiasi scuola media italiana. Tramontata da un pezzo l’epoca dei bushi, i guerrieri leggendari per il loro valore, lo spirito eroico e votato alla perfezione degli antichi giapponesi è sopravvissuto nelle arti marziali, isola felice nel mare demenziale di pilates, ciclette e spinning. E, in fondo, che cosa c’è di più formativo di una disciplina che ti richiede energia insieme a costanza, slancio e autocontrollo, agilità e strategia, bontà del corpo e bontà dello spirito?
Ne sa qualcosa Andrea Stoppa, che, dopo essersi dato una rigorosa formazione classica, dal 1997 insegna arti marziali in Friuli, agli adulti e ai bambini. Oltre alle attività che cura all’interno dell’Associazione Centro Studi Arti Marziali Shinbudo (www.shinbudo.it), da anni tiene nelle scuole elementari, medie e superiori della zona laboratori di autodifesa, di prevenzione del bullismo e di avvicinamento alle arti marziali, lavorando anche con i ragazzi americani della base di Aviano.
È papà di due bellissimi bambini e la questione scolastica gli sta particolarmente a cuore. Anche lui riconosce quanto bisogno ci sia, oggi, di insegnanti che di nuovo sentano la vocazione per quello che fanno, perché, come scrive il professor Kitayama, ne Lo stile eroico:
“Non puoi aspettarti successi dai tuoi allievi, se tu stesso non applichi sufficiente cura a loro. Non puoi rimproverare gli allievi della loro goffaggine, senza sottoporre te stesso a una analisi rigorosa. Se tu stesso non hai una condotta di vita giusta, nemmeno da loro puoi attenderti che conducano una vita giusta. Il motivo per cui i tuoi allievi non vogliono conformarsi alla tua educazione sta nel fatto che tu stesso non ti giudichi con sufficiente severità.”
La scuola di oggi riesce a dare agli studenti gli strumenti per affrontare le necessità di questo tempo? È ora di riformare radicalmente i suoi programmi? Partendo da cosa?
Più che dei mezzi, la scuola manca delle persone: insegnare è, e dev’essere, una vocazione. Molto spesso la prima qualità che è assente nei maestri è la pazienza e la disponibilità a educare, ovvero, secondo il significato etimologico della parola, condurre i ragazzi in una direzione per interessarli al mondo. E, oltre a dei bravi insegnanti, manca anche il supporto delle famiglie, che dovrebbero assicurare il primo livello di formazione. La scuola può avere i programmi migliori al mondo, ma se non c’è un insegnante bravo, capace, entusiasta, che stimola i ragazzi, si perde tutto. Lo stesso discorso vale per un maestro di arti marziali: puoi insegnare la disciplina più bella, ma se non sei una persona preparata e paziente, sicuramente non riuscirai a interessare i tuoi allievi.
Che cosa cambierebbe, che cosa toglierebbe, che cosa introdurrebbe?
Andrebbero modificati gli orari. Non penso che per un ragazzo sia possibile seguire in una stessa giornata, con buoni risultati, l’italiano, l’inglese, la matematica, la storia, la geografia. L’attuale sistema di studio è dispersivo, porta i giovani a limitarsi a imparare quello che permette loro di arrivare a fine giornata sani e salvi evitando l’insufficienza e la sgridata dei genitori. Potrebbe essere interessante, invece, riformare gli orari in maniera da avere giornate dedicate solo a una materia, per poterla approfondire con una certa cura, permettendo anche agli insegnanti di spaziare, senza essere fiscalmente vincolati al programma.
Credo poi che si dovrebbe dare più spazio all’educazione fisica – e questo lo sostengo non perché sia un insegnante di arti marziali, ma perché il modo in cui si fa scuola oggi è malsano. Dalle elementari alle superiori, i ragazzi sono obbligati a stare troppo fermi per la loro età. È controproducente obbligare a rimanere seduto cinque ore o più un bambino, che desidera giocare, muovere le mani e i piedi, oppure un adolescente. Sarà davvero difficile farsi seguire bene, a quel punto.
So che in Francia, alcuni anni fa, avevano fatto l’esperimento di raddoppiare le ore di ginnastica, in alcune classi, ottenendo dei risultati confortanti. Poi, ovviamente, si affidavano a chi lo sapeva fare, quel lavoro. Anche nelle scuole americane, oppure in Giappone, c’è una tradizione sportiva notevole; nei bambini e nei ragazzi è incoraggiato il dinamismo. Ciò permette che si sfoghino e che crescano armoniosamente. Tra l’altro, stiamo andando verso un periodo particolare della nostra cultura, in cui si sta perdendo il rapporto con il corpo naturale e si sta creando un corpo artificioso… per cui lo sport diventa indispensabile.
Mi è capitato di fare, un paio di anni fa, un’esperienza con una classe elementare di una scuola privata, che era considerata molto irrequieta. Ci ho trovato un insegnante giovane, che aveva avuto una separazione, con problemi di schiena, quindi fisicamente incapace di seguire i bimbi, che ne approfittavano. Lì è bastato andarci un po’ di volte, far fare ai ragazzini un’attività fisica per un’ora, portarli una volta in palestra fuori, chiacchierare del più e del meno, spiegare quali sono le regole dello stare insieme, e si è risolto tutto. Quindi, se si lavorasse fin dalle elementari così, tutto andrebbe meglio.
La materia ferma è una materia morta. Ho letto un bell’articolo di un diplomatico americano che aveva iscritto i figli in una scuola russa con un insegnante che faceva spesso lezione all’aperto, li portava in giro, li provocava con domande spontaneamente logiche. Loro si illuminavano. Pensare fuori dagli schemi è anche portare le persone fuori dagli schemi. Io ho passato dieci anni della mia vita scolastica guardando fuori dalla finestra. Ho incominciato a interessarmi alle materie negli ultimi tre anni del liceo classico, perché avevo degli insegnanti che spiegavano bene, che mi facevano appassionare alle cose, che avevano capito che davanti a loro c’erano dei ragazzi che avrebbero avuto piacere di dialogare. Quindi ci si sentiva anche lusingati da certe attenzioni; non ci si limitava a studiare per sopravvivere.
Si torna al discorso di prima: più che i mezzi, mancano le persone. Se uno decide di insegnare, deve farlo con convinzione… Un po’ come con la decisione di diventare genitori. Se vuoi avere dei figli, devi sapere che poi sarà tuo compito educarli. Io che lavoro nella base americana di Aviano vedo che i figli per alcuni sono tanto carini finché non iniziano a parlare. Poi basta. Ne facciamo uno nuovo, perché questo mi ha annoiato. Per tanti sono bambolotti da coccolare e da esibire in giro come fossero i balocchi nuovi presi al negozio. Mi sono stufato e ne faccio un altro, e questo crescerà come deve crescere…
Come potrebbe una buona scuola favorire l‘inserimento nel mondo del lavoro?
Quando frequentavo il liceo non avevo ben chiaro in testa cosa ci fosse dopo gli anni di studio. L’idea del lavoro era del tutto assente, ma la scuola dovrebbe insegnare ad averne grande considerazione e a rispettare le persone che lavorano. Se vedo qualcuno per strada che spazza, quando giro con mio figlio, gli dico “saluta, di’ buongiorno, dai che offriamo il caffè al signore”. Sono piccole cose, ma bisogna cominciare a far capire ai ragazzi che significato e valore ha, nella società, il lavoro.
È ancora sensato puntare a una pedagogia di tipo etico-astratto, idealistico, invece che funzionale? Non è un prendersi in giro fingendo vivo un universo di valori assoluti che la storia recente ha ucciso? La formula “serve per aprire la mente” non ha il sapore di un’illusione?
Ogni tanto parlo con dei ragazzi adolescenti. Chiedo: “Perché fai il liceo?” Risposta: “boh”. “Perché studi latino e greco?” “Boh”. Una volta ho ribattuto: “Ma per capire come pensavano le persone che sono vissute prima di te.” Risposta: “Ah!” Ma non può dirti perché vai al liceo uno che insegna karate! Il perché. Non si dà più importanza al perché delle cose, che è invece il cardine di ogni attività, di ogni passione, di ogni scelta.
L’alfabetizzazione di massa è un problema ormai superato. Varrebbe la pena lasciare, fin dalle elementari, più libertà di scelta agli studenti e alle famiglie, sia per quanto riguarda la possibilità di specializzarsi in certi ambiti piuttosto che in altri, sia per quanto riguarda gli orari in cui frequentare la scuola? Mantenere magari un minimo di ore obbligatorie e renderne facoltative e personalizzabili altrettante?
Anni fa andai in Irlanda e rimasi molto colpito dal fatto che le università, nel periodo estivo, fossero aperte e accogliessero gli studenti delle scuole superiori per dialogare con loro e consigliarli. Si dovrebbe cominciare a dare ai ragazzi più possibilità di scoprire la realtà vera, concreta. Possibilità in termini di tempo, di conoscenza delle persone, di conoscenza dei luoghi. E soprattutto far capire il significato di queste esperienze. La curiosità si crea, si coltiva da bambini. Il bambino chiede sempre “perché? perché? perché?”. Se tu lo fai stare zitto, lui dopo un po’ comincerà a non domandare più. A non meravigliarsi più. Io abito in una città che è molto graziosa dal punto di vista artistico, ma in anni di elementari, medie e liceo nessuno mi ha mai fatto uscire a fare una passeggiata per vedere qualcosa, per farmi capire che alzando la testa si può vedere la targa con il nome di qualcuno. Se invece si cominciasse da bambini a conoscere i personaggi storici per le strade, sarebbe bello. Nei bambini ci dev’essere curiosità e meraviglia. Per poi diventare curiosità e ricerca nelle scuole superiori. Tu vuoi sapere di più e a quel punto hai la capacità di poterti cercare le cose che ti appassionano e poi di discuterne. Non sei lì che aspetti che ti dicano fai questo, fai quello, cerca questo, cerca quello.
Non è necessario, sempre, dalle elementari alle superiori, lasciare ai ragazzi del tempo per coltivare altre qualità oltre all’efficienza della mente?
Certo. Non esiste più il tempo libero, il famoso otium, che era dedicato alla formazione personale. Esiste solo il concetto di tempo occupato. Allora sarebbe bene che ci fosse la capacità di invitare le persone a occupare il proprio tempo in un modo qualitativamente sensato.
È vero, almeno qualche volta, che “lo stupido istruito ha solo un campo più vasto per praticare la sua stupidità”?
Un asino che tira un carro può essere l’asino più bello del mondo ma tira sempre un carro. Difficilmente lo porterai a correre. Sì. È così.