Questionario proustiano sulla scuola #4 – ADELE CAPRIO. La rivoluzionaria gentile della Nuova scuola – pubblicato su Barbadillo.it

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Lavorava per Canale5, ma un giorno ha preso il coraggio a due mani e ha consegnato la lettera di licenziamento. Adele Caprio, una laurea in Lingue, una in Regia, una in Psicologia dello Sviluppo e un master all’università La Sapienza di Roma, è regista, mamma e studiosa infaticabile. Nel 2007 fonda il Centro di Ecologia Umana Le Nuvole, nella Tuscia viterbese, dove si occupa di crescita personale, educazione e cultura. Attenta ai misteri e alle meraviglie dell’educazione, qualche anno fa, da mamma, comincia a raccogliere i pareri di chi, per mestiere o per studio, si è orientato verso proposte diverse da quella della scuola pubblica italiana. Nel 2014 scrive il libro Pedagogia. Un’arte in divenire (Anima Edizioni), un’esplorazione delle formule didattiche alternative. In attesa di aprire una scuola genitoriale, collabora con il Tavolo Tecnico di Terra Nuova Edizioni che ha organizzato il 13 settembre di quest’anno il primo incontro nazionale di tutte le nuove pedagogie attualmente esistenti in Italia. Per l’occasione ha messo in scena, con la compagnia da lei fondata, Compagnia PoEtica, due spettacoli, di cui uno, “Taz, Zone Temporaneamente Autonome”, ispirandosi ai pionieri della Nuova Pedagogia (qui il trailer). Per raccogliere spunti diversi e confrontarsi con le esigenze in divenire dei giovani, organizza “Tavole Rotonde di Nuova Pedagogia” in giro per l’Italia, in cui permette a genitori, insegnanti e ragazzi di confrontarsi senza filtri. La volete davvero la rivoluzione? E allora lasciate che i vostri figli facciano quello che amano.

 

La scuola di oggi riesce a dare agli studenti gli strumenti per affrontare le necessità di questo tempo?

La nostra scuola è un sistema obsoleto rispetto al tempo in cui viviamo. Ha una struttura che risale all’illuminismo e che, nonostante tutte le riforme subite negli anni, non ha gli strumenti per rispondere alle necessità dei ragazzi di oggi. Questi giovani non sono paragonabili a quelli della mia generazione, obbedienti e timorosi dei castighi: sono svegli ed estremamente reattivi e, se immessi in contesti frustranti come quello della scuola pubblica, quando non si annoiano, esplodono. I genitori, che a loro volta non sono i genitori della mia epoca, facilmente sottomessi all’autorità del maestro, adesso prendono i propri figli e li tolgono dalla scuola – per fortuna. Quindi, ci troviamo in una situazione in cui i genitori sono diversi, i ragazzi sono diversi, il tempo è diverso, mentre la scuola è sempre uguale e invece di dare ai bambini quello che dovrebbe, di liberarli e permettere la loro evoluzione, mira a castrarli. La scuola è precipitata in una crisi apocalittica, che non può non sfociare in un rinnovamento totale.

 

È ora di riformare radicalmente i suoi programmi? Partendo da cosa?

Penso che l’unica possibilità sia una riforma scolastica che venga dal basso. Non soluzioni elaborate da gruppi di esperti (che di solito o non hanno figli o ne hanno di quarant’anni, e quindi non sanno niente della scuola di oggi), ma idee e proposte pensate da genitori, insegnanti e bambini. Ovvero da chi ci sta, a scuola, e la conosce bene. Il vecchio modello scolastico, quello che ora propone Renzi, cadrà da solo, perché nessuno lo seguirà più. Ho letto di recente un articolo su La Repubblica in cui si parlava delle proposte scolastiche alternative e si registrava un aumento degli iscritti nelle scuole steineriane pari al 40% l’anno.
Se vogliamo poi darci un punto di partenza per rivoluzionare la scuola, credo che tutti dovrebbero cominciare da se stessi. Non posso aiutare i miei figli se non mi documento, se non studio, se non conosco i fenomeni, le scuole, le proposte. Mi devo chiedere se ho gli strumenti per capire. Come posso sostenere i miei figli se sono debole, non informato? Solo dopo, quando avrò tutti gli strumenti che mi occorrono, potrò dare a mio figlio il meglio. Perché non esiste un metodo unico più valido di altri per educare. Si deve ricercare il metodo più adatto per ogni bambino. Ecco perché è anche importante che l’insegnamento sia mirato, individualizzato. E quindi, che si mettano gli insegnanti nelle condizioni di fare al meglio il loro lavoro. Un insegnante bravissimo al massimo può seguire sei, otto bambini, certamente non trenta.

 

Che cosa cambierebbe, che cosa toglierebbe, che cosa introdurrebbe?

Per prima cosa, organizzerei dei corsi per i genitori. Per sostenerli, per aiutarli a capire come stanno i loro figli, perché stanno male, se stanno male, andando a scuola. Il genitore è un mestiere che si fa in maniera istintiva, però poi ci si trova in una società che sottrae i figli alle famiglie e li porta a trascorrere più tempo a scuola che con la madre o il padre, così è facile perdere il controllo sul bambino e poi trovarsi a dover affrontare dei disagi di cui non si conoscono le cause. Allora forse la cosa migliore è che il genitore diventi competente almeno come genitore.
Poi, aprirei la scuola alle persone. Mi piacerebbe una scuola dove nel pomeriggio ciascuno potesse insegnare qualcosa: i nonni la lavorazione del legno, la costruzione di giochi, zattere; gli artigiani lo studio della ceramica; le mamme esperte la tecnica dell’uncinetto e così via. Ciascuno metterebbe in comune le proprie competenze, non per obbligo ma per passione e iniziativa personale, e si darebbe vita a uno scambio di saperi fruttuoso. Così si potrebbe trascorrere del tempo insieme ai propri bambini e, intanto, imparare cose nuove o antiche ma soprattutto utili.
Visto che la scuola è un luogo pubblico, farei in modo che potesse essere aperta anche il sabato e la domenica e che diventasse sede di feste, spettacoli, vita sociale. La scuola deve essere sempre aperta, dodici mesi l’anno, come diceva don Milani. I bambini imparano da tutto, soprattutto dalla vita vera.

 

Come potrebbe una buona scuola favorire l‘inserimento nel mondo del lavoro?

È naturale: se un bambino è felice, si introdurrà facilmente nel mondo del lavoro. Se fossimo dei datori di lavoro, assumeremmo più volentieri una persona depressa o chi ha le idee chiare, sprizza salute e si dedica al suo compito con entusiasmo? Bisogna lavorare sull’entusiasmo, sulla gioia dei bambini. Non annichilirli per prepararli a entrare un giorno nel mondo del lavoro, dove faranno un mestiere mediocremente, solo perché obbligati dal sistema a farlo. Il primo compito della scuola è far fare ai bambini qualsiasi cosa dia loro gioia. L’attività che li attira ne rivelerà il talento, ciò per cui sono naturalmente portati. E la faranno talmente bene che non avranno problemi a entrare nel mondo del lavoro.

 

È ancora sensato puntare a una pedagogia di tipo etico-astratto, idealistico, invece che funzionale?

È assolutamente insensato. Ken Robinson ne parla nel suo video, ‘Cambiare i paradigmi dell’educazione’, spiegando che la scuola è stata divisa in due categorie: l’accademica e la non-accademica. Dell’accademica fanno parte le scuole destinate a formare le classi dirigenti (liceo classico, scientifico), gli istituti tecnici invece rientrano nella categoria non-accademica; sono le scuole dove si formano operai specializzati, quelli che provengono dalle famiglie povere. Questo modello, che rispecchia la divisione del passato, crollerà e dovrà cambiare in maniera radicale. Quindi, è insensato che adesso tutti vengano spinti verso le categorie accademiche. Se si osserva bene, ci si accorgerà che a fronte di una proposta abbastanza varia di scuole primarie e secondarie di primo grado alternative, in Italia non è presente, o quasi, alcuna scuola superiore non omologata. Ed è un vero peccato, visto che l’età dell’adolescenza è un periodo molto delicato, e che le scuole superiori attuali sono contraddistinte da un sistema assolutamente castrante. Sto lavorando a un progetto per un liceo del futuro: un unico liceo, senza indirizzi, dove i ragazzi possano scegliere le materie che preferiscono, sei, sette. Potranno mettere insieme, per esempio: geometria, musica, ginnastica, latino e meccanica. Quello dell’adolescenza è un periodo in cui si ha un grande bisogno di sperimentare. I ragazzi studierebbero in questo modo nei primi due, tre anni, per poi specializzarsi nell’ultimo biennio, dedicandosi alle materie per cui si sentono più portati. E a quel punto, saranno preparati per inserirsi nell’università, seguendo l’indirizzo che avranno scelto con entusiasmo, senza costrizione. Come si fa a pretendere che un ragazzo di terza media possa scegliere con consapevolezza l’indirizzo del futuro? Nella maggior parte dei casi, questa scelta la fanno i genitori. E i genitori non consapevoli, per il bene del proprio figlio, opteranno per quello che sembrerà più logico, cioè suggeriranno ragioneria, perché un contabile serve sempre. Ma se il loro ragazzo voleva studiare arte? Diventerà un contabile che prenderà antidepressivi per tutta la vita.
Inoltre, bisogna pensare che le scuole non-accademiche sono state pensate per creare operai intelligenti. Ma nel futuro, in particolare dopo la crisi dell’industrializzazione che stiamo attraversando, non serviranno operai intelligenti, serviranno artisti. Creativi. Persone che abbiano la capacità di risolvere i problemi che noi delle generazioni precedenti abbiamo creato.

 

La formula “serve per aprire la mente” non ha il sapore di un’illusione?

Bisogna chiedersi che cosa si intende per ‘serve ad aprire la mente’? A chi serve?
È una formula che usano spesso i genitori, in buona fede, dando un’indicazione che loro pensano sia la migliore. Ma bisogna chiedersi se i genitori sono all’altezza di capire qual è la cosa migliore per il proprio figlio. Ecco perché è opportuno partire dai genitori: devono essere dotati di strumenti tali da poter aiutare i propri figli.
Mia figlia, verso le elementari, ha cominciato a dirmi che non voleva andare all’università. Io, che ho varie lauree, le ho risposto che faceva benissimo, perché è una perdita di tempo. E le ho proposto questo: di prendersi un diploma nella scuola superiore che più le piaceva e di fare l’università solo dopo aver trovato un lavoro che la mantenesse. Perché io l’ho fatto, mi sono laureata mentre lavoravo. E se l’ho fatto io, lo può fare anche lei. In questo modo, quando lei sceglierà la facoltà universitaria, se la sceglierà, e la farà lavorando, avrà un entusiasmo e una velocità che non saranno paragonabili a quelli del compagno di corso che dà esami perché i genitori lo obbligano a prendersi una laurea. Farà l’università proprio perché la vorrà fare.

 

L’alfabetizzazione di massa è un problema ormai superato. Varrebbe la pena lasciare, fin dalle elementari, più libertà di scelta agli studenti e alle famiglie, sia per quanto riguarda la possibilità di specializzarsi in certi ambiti piuttosto che in altri, sia per quanto riguarda gli orari in cui frequentare la scuola?

Certo, per me la scuola dovrebbe avere un orario flessibile. Perché devo mandare mia figlia a scuola dalle 8.00 alle 14.00, perché questo è l’orario del liceo artistico, quando si potrebbe frequentare dalle 10.00 alle 16.00? Perché i ragazzi non possono dormire di più la mattina?
E poi, parliamo dei compiti. I compiti sono un’aberrazione. I compiti non vanno dati. I compiti vanno fatti a scuola, con l’aiuto degli insegnanti, se c’è qualche difficoltà, e non scaricati sulle spalle dei genitori che tornano a casa dal lavoro stanchi e magari si trovano i figli in lacrime davanti ai quaderni. I compiti sono anche classisti. Perché un genitore ricco potrà permettersi un insegnante privato, e suo figlio andrà benissimo a scuola. Non altrettanto succederà alla famiglia povera.

 

Mantenere magari un minimo di ore obbligatorie e renderne facoltative e personalizzabili altrettante?

Io non imporrei nulla di obbligatorio. C’è un libro molto bello, Lettere dalla Kirghisia, di Silvano Agosti. Penso che se, come lui immagina, la scuola fosse una grande casa, aperta al pubblico, dove si tenessero corsi aperti a tutti e per tutte le fasce d’età, dai bambini agli adulti, ci sarebbe un surplus di richieste rispetto all’offerta. Invece la scuola oggi è diventata un ‘diplomificio’ che affonda le proprie radici in un sistema di lavoro ricattatore che ti esclude, se non presenti determinati attestati. A me verrebbe da chiedere al datore di lavoro se è sicuro che chi è in possesso del tal attestato sia capace di svolgere davvero quel lavoro, e se invece non sia il caso di dare un’opportunità a chi non abbia una laurea specifica ma magari possegga qualità speciali. È sufficiente un periodo di prova per capire se una persona è portata o meno per un’attività. Mi viene in mente anche un altro libro meraviglioso, quello di André Stern, Non sono mai andato a scuola, dove l’autore racconta la propria vita di ragazzo non diplomato e non laureato che, nonostante tutto, ha saputo ritagliarsi il suo spazio nel mondo e guadagnarsi da vivere facendo il giornalista, il musicista e il compositore. Mettimi alla prova. Cosa importa se ho o non ho il diploma o la laurea, se sono capace di fare quel lavoro?

 

Non è necessario, sempre, dalle elementari alle superiori, lasciare ai ragazzi del tempo per coltivare altre qualità oltre all’efficienza della mente?

È proprio quello che serve. Vogliamo mantenere un modello di transizione, in attesa di una metamorfosi radicale del sistema d’istruzione? Allora: cinque ore al giorno di scuola, in orari leggermente più decenti, con uno spazio per svolgere i compiti, perché a casa e dopo la scuola i ragazzi devono giocare, stare con i loro coetanei e con la loro famiglia, imparare a fare il pane, dormire, oziare. Insomma, devono vivere. Perché è questo che abbiamo dimenticato: il vivere, e dobbiamo imparare di nuovo a farlo. Ce lo fanno dimenticare castrandoci a scuola e ipnotizzandoci con la televisione. Io sono una regista e per anni ho lavorato al telegiornale di Canale5. Mi sono licenziata quando ho capito che anch’io, con il mio lavoro, ero responsabile dell’ipnosi collettiva nella quale sono immerse le persone – una decisione che mi pento di non aver preso prima. Bisogna che le persone si sveglino. Che tornino padrone di sé. Un consiglio che mi sento di dare è: spegnete la televisione. Anzi, staccate il cavo, togliete proprio l’antenna dal tetto di casa, e iniziate a pensare con la vostra testa. Assaporate di nuovo il vostro tempo. Perché, nel momento in cui ci fosse una riforma improvvisa del mondo scolastico e, come succede nel libro di Agosti, ogni persona dovesse lavorare solo 3 ore al giorno, l’uomo dovrebbe essere capace di gestire il tempo libero. Oggi, la prospettiva di avere tanto tempo a disposizione per alcuni sarebbe un incubo. Quanti arriverebbero addirittura a disperarsi senza sapere cosa fare? Bisogna insegnare di nuovo agli esseri umani a vivere. A essere felici. Ad avere del tempo per guardare un tramonto, per camminare su una strada, per incontrare un amico. Insegnare a vivere: questo è l’obiettivo della scuola del futuro.

 

È vero, almeno qualche volta, che “lo stupido istruito ha solo un campo più vasto per praticare la sua stupidità”?

Sì. Gli stupidi istruiti sono pericolosi per il genere umano. Perché non basta essere istruiti, bisogna anche essere educati. Ed educare ha un significato molto più vasto del semplice ‘istruire’ che oggi come oggi è diventato un sinonimo di ‘omologare’… credo che sia stato uno stupido istruito a premere un bottone e lanciare una bomba atomica su Nagasaki… un ‘educato’ non l’avrebbe fatto!

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