Brunilde Neroni nasce a Ripatransone, in provincia di Ascoli Piceno, e fin da piccola è poeta: per la sua vita adulta vuole giardini da curare e libri da scrivere. Da grande continua a dedicarsi alle poesie, diventa italianista, orientalista, impara il sanscrito ed è traduttrice di Tagore e di altri classici del mondo orientale – Gandhi, Druon, Kabir e Tukârâm -, che le vengono pubblicati dai maggiori editori italiani. Nel 2008, viene premiata come messaggera della cultura orientale in Occidente con la Ruota dell’India, la massima onorificenza indiana. Collabora con riviste di letteratura e società (Studi Novecenteschi, Il Messaggero di Sant’Antonio), dove parla di spiritualità o insegna una ricetta della sua famiglia – come tutti i poeti, conosce la vera distanza (minima) tra l’altissimo e il semplice, la vitalità misteriosa di un pugno di farina e acqua che si trasformano. Ha insegnato a grandi (da italianista all’Università di Padova) e piccoli (come maestra elementare), con una netta preferenza per i piccoli, meno inquinati, meno alterati, più vicini alla poesia delle parole e dei giardini. E i giardini, come scrisse il vecchio Kabir – mistico medievale di Benares di cui Brunilde ha tradotto da poco una raccolta dal nome bellissimo: Canzoni dell’amore infinito –, non richiedono necessariamente molto spazio in cortile: “Non andare nel giardino fiorito!/Amico, non andarci./Il giardino fiorito è dentro di te./Siediti sui mille petali del loto,/contempla la Bellezza Infinita.”
La scuola di oggi riesce a dare agli studenti gli strumenti per affrontare le necessità di questo tempo? È ora di riformare radicalmente i suoi programmi? Partendo da cosa?
“Chi lavora nella scuola dovrebbe rendersi conto che il mondo è cambiato, e che è cambiato il modo in cui i bambini, i ragazzi e i giovani vivono. E non parlo solo di computer… Una volta i bambini andavano a scuola senza sapere né leggere né scrivere. Poi, a poco a poco, hanno cominciato ad arrivare in prima conoscendo già le lettere. Ora i bambini vivono un’ignoranza diversa. Una volta avevano meno svaghi, meno possibilità di entrare in contatto con le informazioni astratte, a favore di una percezione più pratica della vita. Adesso che viviamo in un mondo ‘virtuale’, invece, il bambino fa molte esperienze digitali ma sono poche quelle vere, vive che può vantare. Non va più in campagna tutto il giorno a giocare con l’amico. Non va a pescare. Non esce a camminare sulla spiaggia del mare. Oggi i bambini sono essenzialmente soli. E per loro l’unico luogo di esperienza possibile è la scuola. Certo, c’è il mondo dello sport, dello svago, del fine settimana, ma quelle che vive in questi contesti sono esperienze protette, dove l’adulto fa da filtro e condiziona. Soprattutto d’estate, mi capita di notare una cosa. Io vado al mare la mattina presto. Una volta vedevo tanti bambini e ragazzi che giocavano, facevano il bagno. Adesso, prima delle 11, è raro che ce ne sia qualcuno. Le famiglie li abituano talmente alle comodità, ai comfort, che poi i bambini se li aspettano, e se non li ottengono si arrabbiano pure. Cinquant’anni fa un comportamento del genere sarebbe stato inaudito: non si aspettavano nulla e non davano nulla per scontato. Era un lusso se la mamma preparava il caffellatte o l’ovetto sbattuto…”.
Che cosa cambierebbe, che cosa toglierebbe, che cosa introdurrebbe?
“Darei modo ai ragazzini di fare molte più esperienze. Anche, per esempio, guardando film o facendo dibattiti in classe, come si usava una volta. E non ucciderei il loro spirito creativo, che invece viene massacrato già nella scuola primaria. All’asilo, tranne che in qualche caso particolare, gli insegnanti ormai non sono più abituati a far dipingere, manipolare, ascoltare la musica.
Alle elementari, introdurrei il corso di musica, il corso di poesia, quello di danza. Tutte quelle belle cose che altrimenti il bambino non farebbe mai sul serio nella vita”.
La formula “serve per aprire la mente” non ha il sapore di un’illusione?
“Non credo che abbia la mente più aperta un ragazzo che va al classico o allo scientifico o all’artistico. Tutto dipende dalla testa dell’individuo. Quello che si può dire è che determinati esercizi, come lo studio delle lingue antiche, o anche la semplice scrittura a mano, comportano dei benefici scientificamente provati”.
L’alfabetizzazione di massa è un problema ormai superato. Varrebbe la pena lasciare, fin dalle elementari, più libertà di scelta agli studenti e alle famiglie, sia per quanto riguarda la possibilità di specializzarsi in certi ambiti piuttosto che in altri, sia per quanto riguarda gli orari in cui frequentare la scuola? Mantenere magari un minimo di ore obbligatorie e renderne facoltative e personalizzabili altrettante?
“Penso che ci debba essere un orario scolastico, perché l’orario dà la regola della scuola. Credo nella scuola a tempo pieno, come credo nel fatto che i bambini debbano mangiare a scuola – è anche comodo per i genitori. Però ci vuole dell’equilibrio e dell’elasticità nel valutare le situazioni. Tutto dipende dalla personalità del bambino e dagli orari familiari. Bisognerebbe parlarne con i genitori, caso per caso. Non sono dell’idea che sia giusto imporsi su questo aspetto, in nome di chissà quale socializzazione! Per esempio, c’è il caso del bambino che in mensa non mangia per nulla, quindi tanto vale che qualcuno lo porti a casa, e c’è il caso del bambino mammone a oltranza che non vorrebbe mai staccarsi dai cannelloni al sugo della nonna. In quest’ultima situazione avrò un approccio diverso, perché la scuola è il più grande e giusto esempio di taglio del cordone ombelicale rispetto alla famiglia.
Per quanto riguarda il programma, potenzierei alcune materie invece di altre. Secondo me i celebri ministri della pubblica istruzione non sono mai entrati in una scuola e non hanno mai letto un programma. Vorrei sapere chi li scrive, questi programmi, perché sono sparite delle cose pazzesche. La geografia, per esempio, è stata depotenziata tantissimo: ormai molti conoscono solo le montagne dove vanno a sciare. Così come altri fanno confusione tra la prima guerra mondiale e la seconda… A me piaceva il metodo Gentile, soprattutto per le scuole superiori”.
Non è necessario, sempre, dalle elementari alle superiori, lasciare ai ragazzi del tempo per coltivare altre qualità oltre all’efficienza della mente?
“La buona scuola dovrebbe puntare allo sviluppo armonioso di tutte le qualità del ragazzo, quindi, prima dell’inizio di ogni ciclo, andrebbero fatte delle prove a livello psicologico, per capire meglio gli indirizzi da dare all’educazione o la composizione migliore della classe. Poi, andrebbero riportati in auge i valori umani più grandi, che non si nominano mai. Quella attuale purtroppo è la scuola dei furbi, di quelli che la fanno franca, di chi va a fare ripetizioni e ritiene di non dover stare neanche più attento in classe”.
È vero, almeno qualche volta, che “lo stupido istruito ha solo un campo più vasto per praticare la sua stupidità”?
“È giustissimo. Se uno è stupido è stupido. E se è istruito farà un lavoro che non si merita, e scoccerà gli altri per sempre”.