Questionario proustiano sulla scuola#25. Anna Oliverio Ferraris: “Educare alla complessità” – pubblicato su Barbadillo.it

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Anna Oliviero Ferraris è una delle voci più autorevoli del panorama scientifico italiano in tema di educazione, adolescenza, famiglia, formazione, relazioni tra giovani e adulti, rapporto con i mezzi di comunicazione, meccanismi sociali della contemporaneità. Si occupa di psicologia dagli anni sessanta, assistente alla cattedra di Psicologia Sperimentale dell’Università di Torino. La sua carriera accademica l’ha poi portata, tra vari incarichi, a ricoprire quello di professore ordinario di Psicologia dello Sviluppo a Roma. Intervalla l’attività universitaria con l’impegno di relatrice in numerosi convegni nazionali e internazionali, è autrice di saggi divulgativi e testi scolastici, dirige la rivista Psicologia contemporanea e collabora con magazine e quotidiani, scientifici e divulgativi. È stata membro della Consulta Qualità della Rai e del Comitato Nazionale di Bioetica. La sua pubblicazione più recente è Tutti per uno (Salani 2019), un romanzo sui tormenti e le meraviglie dell’adolescenza e la ‘vita nuova’ che si schiude da questo misterioso passaggio.  

La scuola di oggi riesce a dare agli studenti gli strumenti per affrontare le necessità di questo tempo? È ora di riformare radicalmente i suoi programmi? Partendo da cosa?

“Uno dei problemi della scuola italiana è la preparazione degli insegnanti che non sempre è all’altezza del compito. Ci può essere molta differenza tra una scuola e l’altra e un insegnante e l’altro per quanto riguarda questo aspetto, come per quanto riguarda il rendimento dei ragazzi. Molti, per esempio, pur studiando una lingua straniera a scuola non ne hanno padronanza perché gli insegnanti non la conoscono a sufficienza o non sanno insegnarla. Partirei quindi dalla didattica. La lezione ex cathedra è utile qualche volta, va però affiancata ad altre modalità di studio più attive e partecipative: ricerche, lavori in piccoli gruppi, laboratori musicali, applicazioni pratiche, il giornale di scuola o di classe, esposizioni realizzate dai ragazzi in PowerPoint, discussioni, ripetizione di esperimenti scientifici classici da parte dei ragazzi in modo che ne abbiano una reale comprensione, confronti tra prodotti letterari diversi, collegamenti via computer con altre classi o scuole e, per quanto riguarda la lingua straniera, “immersione” fin dalla scuola materna”.

Che cosa cambierebbe, che cosa toglierebbe, che cosa introdurrebbe? 

“Introdurrei fin dalla quinta elementare degli elementi di economia che porterei avanti negli anni successivi. Idem per la psicologia, che nelle scuole è completamente assente ma che ai ragazzi interessa molto. Darei, già a partire dalle medie, la possibilità di scegliere tra alcune materie facoltative (per esempio antropologia). Inserirei dei corsi di educazione sessuale/affettiva. Manterrei ovviamente discipline fondamentali come l’italiano, la storia, la matematica, la filosofia, le scienze. Alcune materie sono recepite meglio in alcune età – per esempio, la geografia attira molto i bambini del secondo ciclo delle elementari e i ragazzi delle medie, e naturalmente non va insegnata in maniera libresca e noiosa, ma in modo attivo e partecipe. Lo stesso discorso vale per la storia, che non può ridursi a un elenco di guerre e date, ma deve fornire un quadro della vita quotidiana e culturale delle varie epoche e dei vari territori”.

Come potrebbe una buona scuola favorire l‘inserimento nel mondo del lavoro?

“Organizzando degli stage in aziende che consentano ai ragazzi di comprendere i diversi tipi di lavoro, di “provarli”, di osservare applicazioni ed esiti, di apprezzare la complessità dell’organizzazione del lavoro e le ricadute che ha sulle vite degli individui, delle famiglie, delle città e dei vari paesi. Alcuni alunni potrebbero trascorrere nelle aziende periodi più lunghi, altri più brevi”.

È ancora sensato puntare a una pedagogia di tipo etico-astratto, idealistico, invece che funzionale? Non è un prendersi in giro fingendo vivo un universo di valori assoluti che la storia recente ha ucciso? La formula “serve per aprire la mente” non ha il sapore di un’illusione?

“Astrazioni, visioni d’insieme, comprensione della complessità non sono necessariamente nocive, ma in molti casi necessarie. Procedere per tentavi ed errori può servire là dove è difficile fare delle previsioni o non si dispone di esperienze pregresse, ma non in altri. Saper tener presenti tutte le variabili di una situazione, vederne gli sbocchi, le ricadute e gli esiti possibili è fondamentale; ce ne rendiamo conto quando una città è male amministrata e quando governanti e amministratori si lanciano in iniziative o progetti irrealistici che poi non riescono a governare. La formula “serve per aprire la mente” ha ancora un suo valore: per esempio, sia la matematica che la filosofia sviluppano il pensiero logico/critico; conoscere bene due lingue aumenta la flessibilità del pensiero; una conoscenza diretta e operativa della musica sviluppa la sensibilità, favorisce la concentrazione e l’apprendimento dell’aritmetica; la buona letteratura sviluppa aspetti importanti del pensiero e delle emozioni, e così via. C’è uno scambio continuo tra conoscenze diverse: le competenze in un settore si riverberano anche su altri ambiti del sapere e della conoscenza”.

L’alfabetizzazione di massa è un problema ormai superato. Varrebbe la pena lasciare, fin dalle elementari, più libertà di scelta agli studenti e alle famiglie, sia per quanto riguarda la possibilità di specializzarsi in certi ambiti piuttosto che in altri, sia per quanto riguarda gli orari in cui frequentare la scuola? Mantenere magari un minimo di ore obbligatorie e renderne facoltative e personalizzabili altrettante?

“Certamente si possono e si devono studiare modalità alternative flessibili, per esempio offrendo delle materie a scelta, sempre però all’interno di un programma coerente. Quando lo studio è superficiale e frettoloso si finisce per essere scolarizzati ma non acculturati. Si ha un’infarinatura ma non si sviluppa il pensiero critico e la capacità di valutare”.

Non è necessario, sempre, dalle elementari alle superiori, lasciare ai ragazzi del tempo per coltivare altre qualità oltre all’efficienza della mente?

“Volente o nolente, la mente è sempre coinvolta nelle attività. Ce ne sono però alcune che coinvolgono in modo specifico la motricità, la percezione, i sentimenti, che sviluppano il senso estetico, quello musicale, la capacità di comunicare (importantissima!), quella di capire gli altri e se stessi, di destreggiarsi nell’arena sociale. I giochi spontanei all’aperto, per esempio, mettono in moto l’immaginazione, consentono ai bambini di conoscersi e di fare amicizia, insegnano ad affrontare gli imprevisti, a vincere le paure, a esercitare l’autocontrollo, ad acquisire sicurezza e varie abilità, il tutto in un clima libero e giocoso. Proprio perché consapevoli delle potenzialità dei giochi, i finlandesi entrano in prima elementare all’età di sette anni, in modo da poter godere di un anno di gioco in più”.

È vero, almeno qualche volta, che “lo stupido istruito ha solo un campo più vasto per praticare la sua stupidità”?

“In genere lo “stupido istruito” è una specie di idot savant che, essendo dotato di una grande memoria, ha imparato molte nozioni, senza però riflettere e approfondire, senza appropriarsene veramente: senza creare dei rapporti significativi tra gli apprendimenti, senza collegare gli apprendimenti con le esperienze dirette, senza tener conto delle differenze che ci sono in contesti diversi. Ripete ciò che ha appreso con la precisione di un robot, ma il suo pensiero non è flessibile, dinamico, adattabile, critico. Il discorso però si fa lungo e complicato perché qui possono entrare in gioco anche altri aspetti della personalità (emozioni, paure, insicurezze, narcisismo, megalomania…) che non riguardano solo gli stupidi istruiti, ma anche gli stupidi non istruiti”.

 

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