Questionario proustiano sulla scuola#30. Sylos Labini: “Educare i giovani alla bellezza” – pubblicato su Barbadillo.it

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Attore, autore e regista, dal 1995 Edoardo Sylos Labini lavora lavora a fianco di grandi nomi del teatro (Patroni Griffi, Giorgio Albertazzi, Giancarlo Sepe, D’Alatri, Guicciardini). È il volto di campagne pubblicitarie, serie televisive, successi di cinema e teatro; anima di festival e rassegne culturali, consulente per il Teatro Manzoni di Milano, direttore artistico del Teatro di Norcia. Scrive e porta nei teatri della nostra penisola le storie ‘proibite’ di quelle figure che patiscono la banalizzazione ideologica, a cui vuole ridare corpo e dimensione. Riscopre il Risorgimento di Mazzini, la Roma di Nerone, l’Italia di D’Annunzio, il Futurismo di Balbo e Marinetti.

In occasione del 150° dell’Unità d’Italia, riceve la medaglia dalla Presidenza della Repubblica per Disco Risorgimento, una storia romantica, spettacolo di Gili per la regia di D’Alatri, e, cinque anni dopo, il Premio Penisola Sorrentina per D’Annunzio Segreto, di Crespi con regia di Sala. 

Nel 2013 fonda ilGiornaleOFF.it, portale di approfondimento culturale legato a Il Giornale, premiato nel 2017 con il Margutta – la via delle arti per l’Editoria. A inizio 2018 fonda e lancia sul palco del teatro Manzoni di Milano il movimento CulturaIdentità, per una nuova valorizzazione delle bellezze culturali e artistiche della nostra penisola. Un anno dopo, CulturaIdentità diventa anche mensile cartaceo. 

La scuola di oggi riesce a dare agli studenti gli strumenti per affrontare le necessità di questo tempo? È ora di riformare radicalmente i suoi programmi? Partendo da cosa?

“Oggi non è sufficiente digitalizzare tutto per essere al passo coi tempi. Sono necessari i contenuti di valore. L’arte, la cultura. Noi con CulturaIdentità ci battiamo perché le materie artistiche vengano studiate fin dall’asilo. “Educare alla bellezza” era il tema del numero di marzo della nostra rivista. Ed è il nostro manifesto. Noi vogliamo che i nostri figli, fin dalla scuola materna, si avvicinino all’arte, alla musica, alla lingua italiana, perché in un momento come questo è estremamente importante. Soltanto spiegando loro che cos’è l’Italia, soltanto facendo respirare la bellezza artistica e culturale racchiusa nel nostro paese, potranno apprezzare questa terra che calpestano, e che tutti noi spesso calpestiamo, distrattamente. Siamo la nazione più bella del mondo, tutto il mondo ci invidia, eppure, proprio da noi, il patrimonio artistico e culturale è sottovalutato e mal studiato”. 

Come potrebbe una buona scuola favorire l‘inserimento nel mondo del lavoro?

“Di certo dovrebbe permettere ai ragazzi di sperimentarlo direttamente, creando dei raccordi con le aziende e facendo in modo che queste possano rivolgersi alla scuola come a un bacino di raccolta di risorse umane. Nel mondo del teatro, per esempio, e specialmente in passato, alcuni registi sapevano che per formare i cast dei loro spettacoli sarebbero potuti andare a osservare i saggi di due o tre accademie. Questi registi insegnavano e creavano sinergie all’interno delle scuole. Perché il primo grande insegnamento è il lavoro stesso, la pratica. I ragazzi imparano molto di più lavorando che sui libri. Però poi, da una parte c’è il problema che con la scusa del praticantato e dei ‘rimborsi-spese’ nel nostro paese si sono creati dei finti posti di lavoro e molte aziende ne hanno approfittato, dall’altra i ragazzi devono essere più preparati e pronti a non tirarsi indietro di fronte a fatiche minime. Molti giovani non sono abituati al vero confronto sul lavoro, vivono grazie all’aiuto dei genitori, e magari anche a quello dei nonni, e non sanno cosa vuol dire mantenersi. In nome dei modelli culturali sbagliati che si sono diffusi in questi anni, quelli del successo facile e immediato e della super-competizione, rifiutano la prospettiva della gavetta. Ma per arrivare a dei risultati considerevoli bisogna cominciare dal basso, impegnarsi, faticare. In ogni ambito. 

Per avvicinarsi al lavoro giusto, poi, è fondamentale la passione. In questo mondo globalizzato, il mondo dei grafici e degli algoritmi, quello che più conta e che manca è scegliere per passione. Fare una cosa perché si è veramente motivati a farla. Quando hai un fuoco dentro che ti spinge a fare un lavoro, sai che destinerai tutte le migliori energie in quella direzione. Bisognerebbe, quindi, saper dire ai ragazzi che il vero lavoro che si deve fare è quello che fa stare bene, quello che si sceglie spinti dalla passione, non soltanto dal desiderio di ricchezza. 

Il ritorno economico non è la variabile più importante. Oggi devono cambiare anche gli indicatori della qualità della vita. Non si può sempre ragionare in base al PIL, a quanto si guadagna, a quanto si fattura. Un professionista che fattura di meno ma si impegna per un lavoro che ama è sicuramente un uomo più felice rispetto a chi lavora venti ore al giorno, fattura tantissimo ma non si gode la propria vita”. 

È ancora sensato puntare a una pedagogia di tipo etico-astratto, idealistico, invece che funzionale? Non è un prendersi in giro fingendo vivo un universo di valori assoluti che la storia recente ha ucciso? La formula “serve per aprire la mente” non ha il sapore di un’illusione?

“Sono di scuola neoidealista: per me Giovanni Gentile e Benedetto Croce sono ancora un esempio, specialmente in quest’epoca vuota del web. Il valore del contenuto, anzi, va proprio riscoperto. Non a caso ho fondato un giornale di carta, scelta che di questi tempi potrebbe sembrare folle. Eppure, le analisi mostrano che la generazione dei diciottenni di oggi torna ad aver bisogno di contenuti ricchi, non si accontenta dei social. In questo clima di superficialità imperante c’è e ci sarà sempre di più il recupero di certi valori. Le materie umanistiche quindi servono in ogni caso: la nostra storia e la nostra filosofia vanno studiate attentamente. Poi ci si deve anche adeguare ai tempi. Usare la tecnologia e la rete come strumenti di comunicazione, con intelligenza e senza la leggerezza e la superficialità imbarazzanti che esprimono i tweet e i post di certi nostri politici”.  

L’alfabetizzazione di massa è un problema ormai superato. Varrebbe la pena lasciare, fin dalle elementari, più libertà di scelta agli studenti e alle famiglie, sia per quanto riguarda la possibilità di specializzarsi in certi ambiti piuttosto che in altri, sia per quanto riguarda gli orari in cui frequentare la scuola? Mantenere magari un minimo di ore obbligatorie e renderne facoltative e personalizzabili altrettante?

“Certo, se si riuscisse a creare un sistema scolastico del genere sarebbe l’ideale, perché ognuno ha le proprie attitudini, ed è giusto che ognuno le segua, che disegni il proprio percorso in base all’istinto. Però bisogna tenere presente anche che le attitudini si scoprono e chiariscono attraverso le esperienze. Magari pensi di essere negato per le materie scientifiche finché non incontri un insegnante che ti fa amare la matematica e ti scopri geniale. Quindi, è giusto dare ai ragazzi modo di esplorare ed esplorarsi tramite una base comune, almeno in una prima fase, prima di farli decidere sul loro futuro. 

Contiamo poi che l’ideologia post-sessantottina ha completamente distrutto il sistema educativo. Una volta la scuola era già pensata così: alle elementari e medie il programma era comune e poi, proseguendo, si poteva scegliere tra tanti percorsi specializzati, licei e scuole superiori con programmi definiti e diversificati. Questo sistema scolastico è stato disintegrato dall’ideologia post sessantottina che, in nome di una finta libertà, ha abbassato radicalmente la qualità dell’insegnamento nel nostro paese. Il problema più urgente della scuola attuale è preparare e sostenere gli insegnanti, che si sentono persi di fronte alle tante battaglie contraddittorie della politica, di fronte a questo fare e disfare riforme. Sentono che non c’è una visione chiara sul tema dell’istruzione e sono pieni di preoccupazioni. Sono preoccupati del tipo di approccio che hanno i genitori, che invece di appoggiarli nella loro funzione educativa li aggrediscono per difendere i figli; sono preoccupati all’idea di far rappresentare i simboli della propria tradizione in un saggio. “Però se facciamo lo spettacolo col presepe e Gesù Bambino offendiamo i bambini di altre religioni…””. 

Non è necessario, sempre, dalle elementari alle superiori, lasciare ai ragazzi del tempo per coltivare altre qualità oltre all’efficienza della mente?

“È importantissimo. In questo sono decisive le materie artistiche, che davvero aprono la mente. Ma anche un corso di cucina, di agricoltura, e tutte le esperienze che possano far fiorire la creatività naturale di un bambino. La creatività è la facoltà che più stanno cercando di spegnere in noi”. 

È vero, almeno qualche volta, che “lo stupido istruito ha solo un campo più vasto per praticare la sua stupidità”?

“Mi sono sempre piaciuti i ribelli, quelli che  si muovono fuori dai binari prestabiliti. Non devi per forza seguire la via tracciata per essere il migliore. Anzi, spesso i bambini più turbolenti sono adulti di successo. 

Ci sono ragazzi che vanno a scioperare e non sanno nemmeno perché. I Gretini di Greta Thunberg, per esempio: perché scioperano? Perché gli hanno detto che tra dieci anni l’acqua finirà. Ma non è così. Non si informano nemmeno. Non approfondiscono sul serio. Il qualunquismo militante è diventato un’ideologia, negli ultimi decenni. Ed è inevitabile, perché se si studia sempre sugli stessi libri e si leggono sempre gli stessi giornali si finirà per essere indottrinati, non colti. A teatro, negli ultimi quindici anni, ho portato in scena tutti i personaggi della storia italiana raccontandoli da angolature diverse. Sono personaggi che sono stati rappresentati sempre e soltanto da un unico punto di vista e hanno subito una sorta di damnatio memoriae. Uno su tutti, Nerone: secondo la vulgata, lui fu colui che bruciò Roma. Ma non è così. Oppure D’Annunzio, e tutti i miti che hanno circondato la sua figura, a partire dalle leggende metropolitane sulla sua costola per finire con l’ideologia. La storia è bello raccontarla e studiarla anche da altri punti di vista rispetto a quelli predefiniti; la storia si incontra a scuola ma si può approfondire per conto proprio, leggendo nuovi libri, mettendosi nei panni di chi la pensa in modo diverso. Soltanto così ci si può formare una propria visione, personale e intelligente. Lo stupido istruito invece segue solo i binari stabiliti. Segue ed esegue il compito assegnato. E così si sente sicuro”. 

 

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