Una folla radunata intorno alle colonne eleganti di una città antica. Un grande uomo che aspetta di morire. La bellezza dell’architettura a fare da sfondo, sottolineando per paradosso lo scempio, prima e dopo che si consumi.
Quanti anni bisogna aver vissuto per riuscire a rappresentare la tragedia del male? Quanti, per rappresentare Dio?
Ad Andrea Mantegna non ne sono serviti molti. Era giovanissimo quando ha dipinto gli affreschi che rappresentano il martirio e il trasporto di San Cristoforo per la Cappella Ovetari, nella Chiesa degli Eremitani di Padova. Aveva fatto da poco il suo ingresso come apprendista nella bottega dello Squarcione quando gli fu commissionato il lavoro, eppure i volti delle persone raccolte per uccidere il santo rivelano già la consapevolezza di un artista maturo.
Gli sguardi che si concentrano con troppa puntualità sul corpo del gigante convertito al cristianesimo, trascinato a terra per un piede. I toraci e le braccia della gente, che spingono per non perdersi nulla. Il corpo enorme, sopraffatto, di chi già una volta aveva portato ‘il peso del mondo sulle sue spalle’. Continua a leggere